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Friday, January 17, 2014

Lezioni di Danese: Ti ricordi la Sprogskole in Danimarca?



Sprog. Che poi si pronuncia ”spro”.
Parola magica che ipnotizza ogni nuovo arrivato. Una et- ord. Cioè al bestemt (definito, ricordate?) è sproget.


Come sapete, o come forse non sapete, ogni persona che si registra legalmente in Danimarca (al borgerservice, cioè servizio al cittadino), non importa la provenienza, ha diritto a tre anni durante i quali completare un corso di lingua danese presso la Sprogskole (lingua scuola, cioè scuola di lingua) del comune di residenza.


Per chi viene in Danimarca senza conoscere nessuno (cioè, senza network, altra parola magica...), la Sprogskole diventa il primo punto di contatto con persone nella stessa condizione di nuovo arrivato. Qual è un vostro ricordo della Sprogskole? Sera o mattina? Siete ancora in contatto con i vostri compagni di corso? Io personalmente esco spesso con loro...ma Viborg alla fine è piccolina...
Condividete la vostra esperienza con altri nuovo arrivati lasciatemi un messaggio qui sotto :)


Brevemente, funziona così:
  • ti registri (hai il CPR)
  • la Sprogskole ti convoca
  • ti assegnano un livello (ti fanno un esame d'entrata solo se dici di avere una qualche conoscenza di danese)
  • puoi scegliere tra corsi diurni (18 ore a settimana) o serali (6 ore a settimana)
  • a partire da quel momento, hai tre anni di tempo per finire (gratis)
  • se decidi di sospendere la frequenza, devi comunicarlo alla scuola e al Jobcenter che mettono in pausa i tre anni.
  • è un diritto per i cittadini comunitari, mentre per coloro che non sono cittadini dell'UE è un obbligo parte del contratto di integrazione (cioè, se io fossi americano e non andassi a classe, non mi rinnoverebbero il permesso di soggiorno/lavoro, o il kontanthjælp in caso fossi disoccupato)


Non è vero che chi lavora fa i corsi di sera e chi non lavora fa i corsi di giorno. Dipende dal lavoro e dall'accordo del lavoratore con l'impresa. Io per esempio ho completato il corso di giorno, lavorando di giorno.


E l'esame?
Come tutti gli esami, consiste di una parte scritta (comprensione e composizione) ed una orale (presentazione).

Attenzione: sono esami veri. Cioè, bisogna studiare. Ho visto persone arrivare all'esame convinte di passare solo perchè erano andate a classe con l'insegnante che fa l'esame...no no.


E poi?
Beh ci sono 3 moduli dove se siamo promossi ci danno diritto ad un attestato statale di fluenza nella lingua danese, con voti da 1 a 12 (minimo per passare è 4).


Ok ma in Danimarca non parlano tutti l'inglese?
La mia insegnante di danese dice di no. Cioè, quello lo dico anche io, basta fare un giro appena fuori Copenhagen. Lei dice addirittura che un datore di lavoro medio guarda il test di danese per prima cosa negli stranieri. L'equazione è: sai la lingua = ti vuoi integrare = non te ne vai piú.


La lingua è più importante che non per capire le pubblicità o gli orari dell'autobus. Per un danese medio, chi non parla la lingua non vuole restare e quindi, potenzialmente, non è una persona con cui intrecciare rapporti stretti.


Quindi, la lezione di oggi è: sprog sprog sprog. Imparate il danese da subito, fatene una parte della vostra vita quotidiana.


Ma ora tocca a voi! Dai, raccontate un po' della vostra Sprogskole.


Lasciatemi un messaggio qui sotto e come sempre cliccate Like sulla mia pagina su Facebook :)


Un abbraccio,
Francesco

Friday, September 28, 2012

La parola del giorno: Penge / 1 - kontanthjælp


Ciao a tutti, 

il mio internet sta facendo le bizze (sarà che non si è ancora adattato al passaggio dall’estate all’autunno danesi?) e quindi purtroppo non riesco a postare alcun video...Comunque, colgo l’occasione per ringraziare chi mi ha contattato in privato e su Facebook proponendo nuovi argomenti per i video: sono stati suggerimenti davvero preziosi, è sempre bello sapere cosa ne pensate dall’altra parte dello schermo. 


Tuttavia, avevo promesso un altro post sull’argomento kontanthjælp e quindi ne approfitto. Ho preso spunto da due reality shows (o come li chiamano qui, dokumentar = documentario) che ho visto in televisione, in cui si seguivano le vite di due persone molto diverse e per certi versi sono due estremi: una donna di poco più di quarant’anni in cerca di lavoro e Robert, che lavoro non lo cerca proprio.

Apro una piccola parentesi sul kontanthjælp (letteralmente contante=kontant e aiuto=hjælp), l’ultima ratio in termini di stato sociale danese: in caso una persona (con almeno 8 anni di residenza in Danimarca di cui ha lavorato almeno 2 anni e mezzo) sia senza lavoro, senza Akasse e con meno di 10.000 corone di patrimonio mobiliare o immobiliare, può accedere al kontanthjælp a patto che sia iscritto ad un Jobcenter (e diventa cosi un kontanthjælpmodtager: un beneficiario). I kontanthjælpmodtagerein Danimarca sono circa 170mila individui. Il minimo è 3.214 corone per gli under 25 che vivono con i genitori (una sorta di paghetta statale), mentre il massimo  è 13.732 corone per adulti senza lavoro. Come fare per il kontanthjælp? Occorre rivolgersi al Jobcenter del proprio comune.


Torno ai due esempi. Purtroppo non mi ricordo il nome della prima ma era un caso che mi ha colpito. Confesso che inizialmente mi sono sentito quasi “tradito” dalla Danimarca. In breve: lui ha un buon lavoro, lei è una segretaria d’azienda che non ha lavoro da due anni, di cui l’ultimo anno senza nemmeno colloqui. Loro hanno due figli ed una casa medio grande non lontano da Copenhagen. La sua Akasse, di lei, sta per finire, dopo due anni. Durante il documentario, lei va a due colloqui ma non riesce ad avere il lavoro. Dato che hanno casa e macchina, lei non può ricevere il kontanthjælp e sono costretti a vendere la macchina per non finire in perdita a fine mese. Ma come? La Danimarca non era il paese dove comunque nessuno muore di fame? Eppure se vuoi che lo stato ti garantisca la sopravvivenza…devi vendere casa, macchina etc., finire i soldi del ricavato ed infine interviene il kontanthjælp. Pensandoci meglio, è proprio questo lo spirito del kontanthjælp: nessuno muore di fame. Certo, fa male pensarlo nel caso ci fossimo noi: per me la casa è sacra e dovere vendere la casa nel caso non si abbiano soldi sembra un copione di un film americano. Tuttavia, questo non vuol dire che lo stato (cioè i taxpayers, per dirla all’americana) debbano garantire a tutti di avere una casa di proprietà.  

L’altro esempio “estremo” è Robert Nielsen, per i fans “Dovne Robert” (il pigro Robert), che è diventato in pochi giorni una celebrità. In particolare, Robert ha 44 anni e vive di kontanthjælp da 11 anni, dicendo che quella somma gli permette sfuggire allo sfruttamento e dall’accettare lavori sottopagati, che lui identifica in lavori pagati meno di 100 corone all’ora. Facciamo un rapido conteggio: 37 ore di lavoro alla settimana per quattro settimane al mese fanno circa 100.000 corone nette all’anno (ho fatto un calcolo approssimativo), cioè poco più di 8.000 corone nette al mese. Certo, non si potrebbe vivere in centro a Copenhagen, si dovrebbero fare rinunce e soprattutto bisognerebbe svegliarsi tutti i giorni ed andare a lavorare anche se non se ne ha voglia.
Non voglio fare il moralista, per carità, il disagio dei giovani che non trovano (ed alcuni nemmeno cercano lavoro) non può essere semplificato. Ma Robert no. Robert è riuscito a stare disoccupato negli anni 2000 in Danimarca, dove la disoccupazione era dello 0,2%. Bisogna impegnarsi. Se Robert può vivere senza lavorare è perché molti, invece, si svegliano controvoglia per andare ad un lavoro che li disgusta e li sottopaga perché credono davvero che il lavoro nobiliti, cioè lavorano per vivere e per far vivere Robert. Fortunatamente, la favola ha un lieto (?) fine. Robert ha trovato un lavoro all’altezza delle sue aspettative, anzi due: sarà colonnista (sì signori, giornalista) per DR2 e BT, una rete televisiva ed un giornale locali.

Ho sempre pensato di avere una visione molto nordica dello stato sociale: uno stato che si rispetti dovrebbe garantire a tutti la sopravvivenza, dovrebbe garantire a tutti di avere le stesse possibilità di realizzarsi e dovrebbe anche essere solidale fiscalmente e culturalmente. La Danimarca ci è generalmente riuscita, anche se conserva un certo paternalismo e pedagogismo culturale di fondo. Come tutti i welfare states che si rispettino, anche il welfare danese parte dal presupposto che tutti vogliano lavorare e vogliano contribuire allo stato sociale. La vera radice dello stato del welfare implica che i paganti siano in maggior numero dei beneficiari. Per questo, trovo giusto (anche se rode) che lo stato non debba pagare la casa di una famiglia che sta vivendo al di sopra delle proprie opportunità, almeno temporalmente. Trovo anche giusto che non si debba pagare Robert. Per usare le parole di un politico conservatore locale (non che sia un suo fan…) “è un diritto non volere lavorare; tuttavia non mi sembra giusto non lavorare a spese di tutti gli altri che lavorano”.

Sarà per questo che da molte parti ormai viene predicata una riforma del kontanthjælp che vadano verso un maggiore coinvolgimento dei beneficiari. Cioè, che si riduca il rischio passivo : si prevede che per i beneficiari il dovere di accettare lavori offerti dal Jobcenter con un massimo un mese di totale assenza dal lavoro), il dovere per gli under 30 senza istruzione superiore di iscriversi a corsi professionalizzanti.

I soldi, si sa, non fanno la felicità, però sappiamo anche che aiutano. Dati i brutti tempi, le televisioni ed i giornali danesi stanno dedicando molta attenzione al “penge”.  (E non preoccupatevi, non ha una pronuncia strana…si pronuncia proprio come si scrive: penge, con un accento acuto sulla prima vocale, qualcosa tipo pénge). Questo post ha un /1 perché vuole essere il primo di due dedicati a condividere con voi la concezione del penge in Danimarca. O almeno, quello che credo di averne capito io.

Ci diciamo sempre che uno dei fattori positivi della Danimarca è quello di avere una società quasi senza classi, nel senso che a nessuno importa che lavoro si faccia o che posto si occupi nella scala sociale, data che le relazioni sociali non si costruiscono su questa base. Personalmente, credo anche che la Danimarca sia ancora uno dei pochi paesi al mondo dove il semplice fatto di avere un lavoro garantisce la possibilità di una vita indipendente, incluso una casa. Non importa che lavoro si faccia. Insomma, sembra che il lavoro in Danimarca nobiliti davvero.

Un abbraccio a tutti ed ancora scusate per la lunghezza, avevo poco tempo.
Francesco

Saturday, April 7, 2012

La Pasqua non ferma le notizie...


Per chi sta seguendo le mie disavventure alla ricerca di un lavoro in Danimarca: no, il jobcenter non mi ha chiamato. Ho anche provato a chiamare ma la signorina mi ha detto “beh evidentemente avranno perso il post it con il tuo numero o il tuo nome”...evidentemente.
Ora si spiegano le notizie che appaiono su alcuni giornali locali: il 97% di coloro che trovano un impiego...lo trovano con il jobcenter? Taaaa! Errore! Lo trovano fuori dal jobcenter! I nostri super compagni di Metro hanno fatto un'altra indagine di frontiera. Sono andati in Syddanmark (che comprende sia Sønderjylland che Fyn) ed hanno scoperto che solo il 3% trova lavoro tramite il jobcenter. Osservatori internazionali segnalano containers carichi di post it con nomi e numeri di disoccupati che prendono il mare da Esbjerg. Almeno non sono il solo...
Leggi la rassegna stampa danese della settimana su: http://rassegnastampadelgiorno.blogspot.it/2012/04/mal-comune-mezzo.html

Buona Pasqua a tutti!
Francesco

Friday, March 16, 2012

a proposito di vejleder...


Mi dimenticavo di raccontare come ho prenotato un appuntamento con il vejleder...

Vado al Jobcenter con il mio CPR-nummer ed il mio CV in danese, tanta pazienza e buona volontà, che fa bel tempo. Per chi non ci fosse stato, il Jobcenter a Viborg è incorporato agli uffici comunali: c'è una grande hall, dove lungo le ampie scale sono stati messi dei cuscini, cosicchè le scale diventano posti di attesa a sedere.
Bello, ingegnoso, ti senti a contatto con gli impiegati comunali che ti strusciano contro sulle scale.

Mi accoglie una signora di mezza età dall'aria simpatica e sorridente, occhiali tondi.

io "salve, mi sono appena trasferito a Viborg e sono disoccupato"
lei "parli bene danese. come possiamo aiutarti?"
vi ricordate il post precedente, riguardo ai danesi che ti chiedono le stesse cose over and over and over again? io mi guardo attorno: sono un disoccupato al jobcenter...almeno sono nel posto giusto.
io "beh sono disoccupato, e vorrei vedere il vejleder"
lei "capisco..." chiama una sua collega "salve, come possiamo aiutarti?"
io "mi sono appena trasferito a Viborg e sono disoccupato, e vorrei vedere il vejleder"
lei "parli bene danese. hai il CPR?" glielo porgo e prende nota "hai un numero di telefono?" glielo dico e prende nota e poi..."e di cosa vuoi parlare al vejleder?"

mi guardo attorno ancora: sono al jobcenter, ormai mezzo ufficio sa che sono disoccupato e vorrei vedere il consulente del lavoro. Di cosa gli vorrò mai parlare? dei numeri del lotto? del campionato del Parma? Per un attimo aspetto che lei faccia la prima mossa e sorrida. Poi invece nulla traspare dal suo viso.
Mi ricompongo.

io "beh vorrei avere dei consigli su some cercare impiego" 
lei prende nota e poi "oggi il vejleder è ammalato" uno solo per comune? mi chiedo io "poi va in vacanza, ma ti può chiamare quando torna?"

Era il 4 marzo 2012...
alla prossima puntata!