volevo scrivere un post
sul buon anno in danese ma poi mi sono ricordato che ne avevo scritto un altro
solo un anno fa (come vola il tempo). Comunque sarà perché presto compirò i tre
anni in Danimarca, in cui praticamente è successo di tutto e di più, sarà
perché sono reduce da due settimane (e 4 chili) in Italia...comunque sia mi sto
chiedendo cosa mi sta lasciando questa esperienza danese.
Per esempio, l'altro
giorno all'aeroporto ho sentito parlare una famiglia svedese emi è sembrato che parlassero in modo
divertente. Non so se era l'accento, la pronuncia di parole che mi sembrava di
conoscere con un'altra pronuncia...insomma sembravano quasi dei danesi che stavano prendendo in giro qualcuno...fatto sta che mi ha fatto ridere.
E ho deciso di cominciare
a chiedermi “Ho vissuto troppo a lungo in Danimarca se…?”
Si, insomma, se ascolti svedese
e ti viene da sorridere perchè ti sembra un danese che prende in giro qualcuno, direi che hai assolutamente vissuto troppo a lungo in
Danimarca.
Poi, non so voi, ma io
Italia ancora mi metto sulle striscie pedonali ed aspetto che mi facciano
passare. Il che spesso si converte in lunghe attese davanti ad auto che sfrecciano
da una parte e dall'altra...vraaaaam vraaaaaam!
In questo caso, dunque,
“Ho vissuto troppo a lungo in Danimarca se...” ti aspetti che ti facciano
passare alle striscie.
Poi mi sono chiesto: cosa
ha lasciato a voi? Vi siete resi conto di alcuni cambiamenti nel vostro
carattere o nel modo di fare da quando siete in Danimarca, o in generale
all'estero? E quando? e vi piacerebbe condividerlo? Scrivete un commento qui
sotto oppure sulla pagina Facebook (e Like! Se non l'avete ancora fatto :)
Ciao a Tutti!! Sono appena uscito da fare il mio dovere di cittadino alle elezioni locali di Viborg ed ho pensato di fare un piccolo reportage sulle elezioni in salsa danese.
Innanzitutto non ti chiedono la carta d'identità. Chi può votare riceve il certificato elettorale (che qui si chiama valgkort, cioè carta - kort - dell'elezione -valg), poi si reca in un booth il cui numero è stampato sulla valgkort e poi...? e poi?
Beh l'unica cosa che devi portare a dimostrazione del fatto che sei veramente tu è la data di nascita. Cioè gli scrutatori ti prendono la valgkort, scorrono il registro fino a quando incontrano il tuo nome e, registro in bella vista che chiunque può vedere, ti chiedono la data di nascita.
Quindi la prima grande lezione delle elezioni danesi è: se rubi il certificato elettorale al tuo vicino, cerca di sapere anche la sua data di nascita e potrai votare per lui.
Poi, una volta uscito mi sono reso conto che davanti al seggio c'era un candidato, con tanto di striscione, che distribuiva volantini e faceva propaganda il giorno delle elezioni, davanti al seggio elettorale. Mi è sembrata un po' una cosa da terzo mondo, elettoralmente parlando, dato che almeno il silenzio elettorale...ma (seconda grande lezione delle elezioni danesi) qui non si incazza nessuno e quindi non deve essere un grande issue, dato che probabilmente tutti partono dal punto che le scelte elettorali di ciascuno sono già state maturate.
Oggi sono un po’
corporate con la camicia che sono appena tornato dal lavoro ma non volevo
lasciarvi soli in questo momento delicato. Delicato perché ci sono le elezioni,
tra un paio di settimane in Italia e poi tra qualche settimana per il Papa. Ed
allora ho pensato di fare un altro post per il blog.
Allora, come sono
le elezioni in Danimarca?
In Danimarca l’elezione
è et valg, che vuol dire sia elezione che scelta, ed in realtà l’elezione è
proprio quello, una scelta. E qui arriva il genio danese, nel senso che il voto
è en stemme. Attenzione: stemme vuol dire anche voce, e questo lo trovo
straordinario perché ci riporta indietro a quelle che sono le radici della
democrazia, la democrazia greca, dove si riunivano tutti in una piazza e,
urlando, testimoniavano l’approvazione per una proposta formulata nell’agora. E
quindi ci riporta al significato originale della democrazia: il governo di chi
urla più forte o di chi ha più urla.
Delle elezioni
italiane sappiamo ormai tutti, e ci sarebbero anche molte cose che non vorremmo
sapere. Parliamo invece della politica danese. La politica danese è più o meno
bipartitica, ha un sistema proporzionale ad una Camera sola, ed i giornali
dividono i partiti tra il Blocco Rosso (Rød Blok) ed il Blocco Blu (Blå Blok),
che come dicono i colori sono rispettivamente i socialisti/Socialdemocratici ed
i conservatori ed i liberali. Un po’ fuori dagli schemi è il partito del popolo
danese (Dansk Folkparti, DF), che è l’omologo nazionale della Lega nostrana,
che comunque appoggia esternamente i governi di destra.
Partiamo da
quelli che hanno perso le ultime elezioni, il Blå Blok, che si compone
essenzialmente di un partito che si chiama Venstre ed è un partito liberale. La
cosa carina è che il partito sta a destra, ma la parola venstre vuol dire
sinistra. Eppure sta a destra, cosa che io trovo stupenda. Oltre a essere il
partito principale della politica danese, monopolizza quasi tutta l’area centro
destra, che comprende altri partiti minori come Liberal Alliance, i
conservatori e come detto DF.
Se andiamo al
Blocco Rosso, troviamo partendo dal centro i socialdemocratici, partito di
maggioranza di governo, del primo ministro Helle Thorning Smith, quella che
Berlusconi le guardò il culo e con Sarkozy commentò che era bello. Poi troviamo
un altro partito di governo che è un partito dal nome nostalgico, il “Partito
Socialista del Popolo” danese, mi sono anche fatto crescere la barba alla
compagno Fidel in onore loro. Sono un partito di impronta socialista, stanno a
sinistra dei socialdemocratici, che come alleati hanno anche un altro partito
che si chiama Radikale Venstre, che sono un po’ come i nostri radicali:
liberisti in materia economica e socialisti/socialdemocratici in materia di
welfare, si collocano a destra dei socialdemocratici anche se a sinistra e sono
una frattura di sinistra del partito Venstre e stanno davvero a sinistra.
Più a sinistra di
tutti sta un partito che si chiama Unità, la Lista Unità (Enhedslisten). È un
partito di ispirazione rossoverde quindi ecologista, movimentista, quasi come
Sinistra Ecologia e Libertà, non è di governo, appoggia esternamente, e visto
che è molto di sinistra non ha un segretario ma un collegio di portavoce
capitanati da Johanne Schmidt-Nielsen, una della parlamentari più giovani della
Danimarca se non d’Europa che ha solo 26 anni e che si prenota per un futuro
brillante della politica danese. Se fossimo in Italia per 40 non ce la
scrolleremmo di dosso.
Questa era una
brevissima incursione nella politica danese: votate tramite busta se siete
italiani all’estero, votate se siete in Italia. Vi auguro buone elezioni, spero
ci sarà un altro post prima delle elezioni o magari uno dopo per farci due
risate sui risultati.
Mi raccomando
continuate a seguirmi sul blog e su Facebook, che mi arrivano nuovi Like ogni
giorno ed è sempre bello. Se avete idee per nuovi post, come sempre, fatemi
sapere.
Di ritorno un weekend a Copenhagen, avere rivisto alcuni amici ed avere salutato un amico che se ne va, torna la rubrica sulle notizie danesi...dopo la pausa estiva ed una piccola riorganizzazione del
blog (che assomiglia sempre di più ad una rivoluzione
permanente...), anche i giornali di carta e via etere in Danimarca
hanno ricominciato a viaggiare a pieno regime.
La notizia più
interessante, o almeno distante da quello che siamo abituati a
vedere, è la ledership dei partiti che compongono la maggioranza in Danimarca (il Rød Blok, il blocco rosso) sono tutte donne, di età compresa tra i 28 ed i 45 anni.
Il primo ministro (Helle Thorning-Schimt) e la leader di Radikale Venstre (Margrethe Vestager) hanno sorpassato la quarantina, il
segretario di SF è sulla trentina mentre la portavoce di Enhedslist
(lista di sinistra ecologista senza un segretario ma un comitato di
segreteria coordinato da un portavoce) è intorno ai 28 anni. La più
recente in questo "club delle quattro" è il segretario di SF (Astrid Krag, trent'anni, due
bambini, sposata con un rapper locale), in sostituzione di Villy
Søvndahl, il ministro degli esteri anti-europeista (???) e
dall'inglese...originale e di cui molti volevano la testa.
Premetto che il punto
positivo di questo quartetto non mi pare il fatto che siano tutte
donne: è sicuramente un buon segnale, sebbene più folkloristico che
altro in un paese dalla avanzata parità come la Danimarca.
D'altronde, non sono mai stato un sostenitore delle discriminazioni
positive, perché dovrebbero essere temporanee ma sono, al contrario,
difficili da fermare e tendono a diventare permanenti. Meglio una
donna o un uomo al governo? Meglio uno bravo. Io preferisco una
persona capace di ricoprire un ruolo le cui decisioni avranno un
impatto sulla mia vita. Che sia uomo o donna, sinceramente, non mi
interessa più di tanto.
Piuttosto, ciò che mi
colpisce in positivo è la varietà delle età del quartetto. La
bontà di una classe dirigente si misura proprio, a mio avviso, dalla
capacità di proporre ed accogliere diverse istanze. Ci diciamo
spesso di come i danesi siano chiusi all'esterno, a quanto pare sono
tuttavia molto aperti e mobili all'interno. In Italia ci lamentiamo
che sono sempre i soliti, no?
Proprio l'età, d'altro
canto, è a mio avviso un punto debole. Per esempio, Johanne
Schmidt-Nielsen, la portavoce di Enhedslisten, ha recentemente finito
l'università ed il suo lavoro è stato da sempre la politica
(chapeau, comunque: riuscire a finire gli studi mentre ti fai
eleggere in Parlamento non è da tutti). L'attuale ministro delle
Finanze della Danimarca ha 26 anni. Non voglio dire che è necessario essere laureati per essere in Parlamento (e comunque non vuol dire che si sia intelligenti):
occorre passione, capacità di trasmettere ideali, carisma, credere
nelle proprie idee ed una buona dose di fortuna per essere eletti.
Tuttavia, io preferirei che decisioni importanti venissero affidate a
chi avesse almeno un po' di esperienza lavorativa, conosce la
situazione dei lavoratori che vuole difendere, soprattutto a
sinistra, conosca la difficoltà di far quadrare bilanci e risorse,
abbia provato la responsabilità di sbagliare e ne abbia pagato le
conseguenze.
Rileggo questo post e mi
viene da sorridere. Ma abbiamo visto chi abbiamo in Parlamento in
Italia al giorno d'oggi, tra giovani e non giovani? Mi sto lamentando
che ci siano donne e giovani in politica? O forse non sarà che ne sono
invidioso perchè avrei voluto essere dove sono loro (i giovani)? Forse entrambi.
Il fatto di vedere tanti giovani occupare posizioni di rilievo in
politica mi fa riflettere: io la trovo come la rottura di un tabù
culturale (anzi, due). In Italia diciamo sempre che odiamo i politici
di professione e che uno deve farsi la gavetta. In Danimarca ci
insegnano che, innanzitutto, la politica è un lavoro, ed un lavoro
vero. Sui generis, certo: non hanno nessun fiato del capo sul collo,
ma in fin dei conti il loro capo siamo noi. Tocca a noi allora
assumere responsabilità di esaminare da vicino quello che fanno e di
non votarli. Non c'è nessuno da votare? Beh francamente lo trovo
difficile da credere. Dall'altro lato, la gavetta è come una
discriminazione positiva: rischia di diventare permanente. E di
fatto, in Italia, lo è diventata: la classe dirigente è vecchia
(59 anni di media) rispetto alla Danimarca, e molti giovani emigrano. Sul fatto che
l'esperienza abbia creato dei buoni politici in Italia...beh! Ben
venga allora la Danimarca che si assume il rischio di fare decidere a
dei giovani!
Questa settimana ci sono
state altre notizie interessanti... però me le tengo per un altro
post... :)
come disse un membro del gruppo Facebook di Italiani in Danimarca, “la
maggior parte di voi ha in media l'età di Jobs quando lo buttarono
fuori dalla Apple), ma se lavorate in Danimarca non dimenticate la
pensione”. In effetti Italia e Danimarca hanno due sistemi
pensionistici diversi: benché simili nella sostanza, sono molto
diversi nella forma. Una cosa su cui mi sento di insistere è: non
importa che ci vediamo o meno vecchi in Danimarca. Una volta che
abbiamo la nostra pensione, possiamo farne quello che vogliamo. Molti
pensionati danesi si comprano casa al mare in Italia e vanno li a svernare. Dal mio punto di vista è fare il
meglio che possiamo ora, per avere il meglio che possiamo dopo.
Come
funziona la pensione in Italia e Danimarca
Il sistema
italiano va direttamente nella busta paga e detrae una percentuale a
fini pensionistici (i famosi contributi) senza che il lavoratore
debba pensare alla propria pensione, garantisce a chi ha lavorato una
pensione più alta della minima in relazione al numero di anni
lavorati ed ai contributi versati, senza che il dipendente se ne
debba preoccupare. Il sistema danese invece garantisce solo la
pensione minima e quinidi costringe a risparmiare fin da
giovanissimi, a farsi mutui molto grandi su 30-40 anni per comprarsi
una casa grande da vendere quando si andrà in pensione (andando ad
arricchire il fondo pensione), oltreché a detrarre una parte del
proprio salario a fini pensionistici, perché tutti riceveranno solo
la pensione minima. Ogni buon danese di 30 anni ha a suo carico tre
mutui: casa, macchina e studi (perchè se è vero che ogni studente
danese riceve 6000 corone al mese per sei anni di studi universitari
– circa 800 Euro – è pur vero che molti raddoppiano con prestiti
d'onore perchè la vita nelle città universitarie maggiori è troppo
cara).
Ok, ma in
Danimarca? La folkepension
La
pensione mimina è garantita anche in Italia, ma la pensione per chi
ha lavorato dipende dai contributi, cioè da quanto il contribuente
ha versato (percentuale del salario) e per quanti anni.
In
Danimarca, tutti possono andare in pensione a partire dal 65.mo anno
di età, indipendentemente da quanto si è lavorato. In Danimarca, la
pensione minima (la folkepension) è garantita a tutti. Punto. Ma
solo quella.
Gli
stipendi all'estero sono più alti di quelli in Italia anche per
questo motivo: il datore di lavoro non deve pagare nulla in più,
tutto è in capo al dipendente.
Il resto
di un ipotetico fondo pensione in Danimarca viene pagato dal
lavoratore, trattenendolo volontariamente dal proprio salario,
mettendolo appunto in un fondo pensione. Per avere l'intero ammontare
della folkepension in Danimarca, è necessario passare in Danimarca
almeno 40 anni dai 16 anni a 65. L'ammontare finale viene calcolato in quarantesimi , in base agli anni di permanenza in Danimarca, dal
momento dell'iscrizione all'anagrafe (quando si ottiene il CPR). Per
esempio, io sono arrivato in Danimarca quando avevo 31 anni, quindi
potrò al massimo avere 34/40 di quella che in Italia chiamiamo la
pensione sociale e che in Danimarca si chiama Folkepension.
Mi sembra la storia della cicala italiana e della formica danese...Ne discuto con alcuni danesi e dico “alla fine non mi sembra giusto che tutti riceviamo lo stesso, indipendentemente da
quanto abbiamo lavorato (e quante tasse abbiamo pagato), perchè
abbiamo contribuito differentemente al mantenimento del welfare”.
Normalmente la risposta (candida, devo dire) è più o meno così:
“Beh ma se hai versato molte tasse, vuol dire che hai guadagnato
bene, quindi sta a te mettere da parte una parte del tuo salario in
pensione”.
Cose da
controllare quando si valuta un'offerta di lavoro in Danimarca.
Salario
su base annuale e non mensile: in Danimarca ci sono 12 mensilità
mentre in Italia ed in altri paesi si applicano 13.80 o 13.92 mensilità. I
paragoni, si sa, lasciano il tempo che trovano. Quando si cambia
paese lo si fa anche e soprattutto perchè si ha bisogno di un
cambio. Guadagnare di più o di meno, a questo punto, può non
essere un fattore di cui teniamo in conto. Tuttavia, per avere un'idea di quanto guadagnerete e del tenore di vita che potrete affrontare, vi consiglio di prendere in considerazione il salario annuale.
Piano
pensione: come dicevo, in Danimarca l'impiegato può scegliere o concordare con
l'impresa quanto trattenersi dallo stipendio e metterlo in un fondo
pensione. Molte imprese offrono un piano pensione come parte dell'offerta di lavoro. Come per la A-kasse, pochi lo conoscono ma consiglio di
farlo. Informatevi se c'è un'opzione presente nel contratto, in
caso contrario contattate la vostra banca per un piano pensione
privato. La quota del salario destinata al piano pensione non viene tassata
(viene tolta dalla quota imponibile, quella su cui si pagano le
tasse) e quindi si pagano meno tasse in totale, oltre a mettere da
parte soldi per la vecchiaia.
Il
preavviso: in Danimarca, normalmente è di un mese durante i primi
tre mesi e tre mesi per i seguenti tre anni di lavoro con lo stesso datore di lavoro, a crescere. Durante il
preavviso, si continua a percepire il salario come se si lavorasse e
le ore (ipoteticamente) lavorate, contano per il dagpenge. Se
lasciate un lavoro per un altro, calcolate bene per non andare nei
casini.
Spero che vi sia stato utile, anche se probabilmente noioso...aspetto i vostri commenti!
Come dice
Umberto Eco, “Scusate la lunghezza, avevo poco tempo”.
È primavera! E cosa fanno i danesi quando è primavera? Si spogliano pur di esporre ogni centimetro di pelle al sole? Si, ma non solo. Bevono anche per strada e non solo chiusi in casa? Si, ma non solo. In primavera, i veri danesi rifanno il look al giardino e/o ne approfittano per rinnovare parte della casa. A me sono toccate entrambe le cose.
La parte della casa che ho contribuito a distruggere (da vero eroe moderno, preparando il rinnovamento...) era una veranda che abbiamo scoperto essersi retta per anni su di fondamenta sghembe, livellate con fogli di pubblicità (tipo le offerte della settimana) pressati uno contro l'altro. Alla faccia della qualità made in Denmark...
Ma andiamo con ordine. Come buon danese, il primo e piú importante attrezzo della vita quotidiana è un buon trailer, un rimorchietto che di solito viene usato per andare in Germania e caricarci alcol a basso prezzo.
Dopo viene la parte divertente, cioè la distruzione della struttura in legno ormai marcio, che viene giù che è un piacere.
Naturalmente, è un lavoro da uomini duri, con muscoli e cervello, come il marcantonio della foto.
Il trailer poi viene progressivamente riempito e portato alla discarica.
Ora vorrei sfatare un mito. I danesi non riciclano. Sono tutte bufale. Se fuori dai condomini di Copenhagen vedete ogni tanto due/tre cassonetti separati, dovete sapere che era un progetto pilota per la separazione dei rifiuti, ora sospeso. Se poi ve lo vendono come “alla fine aprono tutti i sacchetti e fanno lo scanner del codice a barre uno a uno e poi lo mettono nel cassonetto giusto”, dovete sapere che il motivo per cui il progetto era sospeso era che un giornalista aveva scoperto che poi mettevano tutto insieme (senza scansionare uno per uno)...Ogni buon danese butta tutto insieme (a parte il vetro) nello stesso sacchetto, tipicamente sotto il lavandino.
Dicevamo che il trailer viene portato alla discarica (che in danese si dice affald). Cioè, ad uno spiazzo a cielo aperto dove (lì sì) diversi materiali vengono messi in diversi containers (sabbia, pietre da costruzione, metallo, carta, strumenti elettronici).
Si può sia depositare che prendere, il che lo trovo piuttosto hippy e mi piace. “La pietra scartata dai costruttori è diventata pietra d'angolo”, no? E a chi non piacerebbe essere quella pietra? E comunque, svelti, che le anche i containers sono a cielo aperto...
In fondo, la Danimarca è solo il paese con probabilmente la più alta concentrazione si pale eoliche per abitante.
Questa settimana sarà una rassegna stampa un po' speciale. Sono tornato a Parma per Pasqua ed ho trovato questo libro con titolo che ho trovato profetico che mi ha dato l'idea per un nuovo post. Stavo passeggiando per le vie centrali di Viborg (due, e quindi meritano il plurale), quando mi sono imbattutto in una bancarella di libri...
Per chi sta seguendo le mie disavventure alla ricerca di un lavoro in Danimarca: no, il jobcenter non mi ha chiamato. Ho anche provato a chiamare ma la signorina mi ha detto “beh evidentemente avranno perso il post it con il tuo numero o il tuo nome”...evidentemente. Ora si spiegano le notizie che appaiono su alcuni giornali locali: il 97% di coloro che trovano un impiego...lo trovano con il jobcenter? Taaaa! Errore! Lo trovano fuori dal jobcenter! I nostri super compagni di Metro hanno fatto un'altra indagine di frontiera. Sono andati in Syddanmark (che comprende sia Sønderjylland che Fyn) ed hanno scoperto che solo il 3% trova lavoro tramite il jobcenter. Osservatori internazionali segnalano containers carichi di post it con nomi e numeri di disoccupati che prendono il mare da Esbjerg. Almeno non sono il solo... Leggi la rassegna stampa danese della settimana su: http://rassegnastampadelgiorno.blogspot.it/2012/04/mal-comune-mezzo.html
Vi ricordate dell'integrazione 2.0?? Beh per chi non l'avesse letto su Twitter, ho cantato vittoria troppo presto. Sono uscito dal paesaggio e diventato Mario...
I must confess that reaching nearly 300 visits in two weeks is of great satisfaction, although I must admit that the title might have misled some of you. "What's in the oven" was a metaphorical voyage in what is going on here and now, in my little life in this little cone of land called Viborg. Why calling it like a cuisine blog? The idea came after I listened to Tori Amos' "Bakes Baker" and the idea of a deus ex machina who's baking our life got the best of me.
Anyways, like I said I cannot ignore that some of you (let's face it, most of you :) ) came here with the illusion of having something to cook for tonight's dinner. Okay then, how could I want not to hear my readers? So, here is news: a page for cooking! This time, for real! Write me your recipe, how you could conquer your beloved one, how you could make him/her happy, how to save your night when you invited people for dinner when you were drunk. Cooking for all occasions!
Moreover (my boss hated when I said "moreover") i want to stay faithful to the official idea of this blog. What is cooking in the oven of your life? So here's the kitchen for you? A page where you can publish your stories, short tales, incipit of novels, anything really!
So this blog needs you, now more than before. Do you have a recipe? Do you have a story or a tale, and you want to publish part of it, or all of it? Write me at whatsintheoven@hotmail.com!!!
Going at Bernardo’s office for lunch, I walked through what I think is one of the city’s best streets: Vinoradska, but more on that later.
Starting from the metro station Mustek, very central, I walked up Vaclavste namesti until the national museum and then, with the main railway station on my left, I waited a second before taking up Vinoradska.
I looked down, from the national museum along the avenue that eventually flows into Na Prikope. No wonder that Russians thought the national museum to be Parliament, and therefore surrounded it with tanks when they invaded the country in 1968. The national museum is not only magnificent, it dominates the town, whose eyes can’t help looking at it.
Then I walked down a passage underground, which communicated the sidewalks at opposite sides of the Museum metro stop. There smells like pizza and kebab and bakery and underground. It is incredibly lively, with students buying snacks on their way home, workers buying something to fry on a pan, employees having something to eat and a chat.
I remember in Parma, we used to have one of those, by the remains of the Roman bridge under Piazza della Ghiaia. When I was a child, I remember it was full of lights, underground, with a bar and a shoe store. I remember I used to ask myself how could a bridge stand under another bridge. It was by the underground market, with a preponderant smell of cheese. I have not been there under for a while, perhaps because last time I went, there was no store left.
Like I was saying, I repute Vinoradska one of the bests in town, because it has the splendor of Prague, without the touristic touch of the centre. The result is a truly authentic street: old people passing from the baker to the butcher with the bags of their daily shopping, mixed up with the new middle-class symbols, such as night clubs advertising “Russian Ladies Night”, and modern totems such as gay clubs.
It feels as if the “socialist architects” felt that it would be a shame to interrupt the street’s harmony, so the main street of this neighborhood, which ends in to the very graveyard where Kafka is buried, has the character of Prague which fortunately the architectonic real-socialism left nearly untouched, although sometimes they cannot hold a grip and had to leave a mark somehow.
In streets like this, time seems to have past fast. One has to go to side streets in order to get a fairer vision of how time really past: renovated buildings lay aside untouched and needing-renovation ones.
Where were we? Oh yes, free vodka. Knowing that you have a time and date where to be at a certain point of the day tends to organize the whole day all around it.
I woke up late, bought a sandwich at a Tesco supermarket that is now in a building that must have been a market of sort, and walk up and down on Prague’s bridges. There is no closer feeling to freedom, than eating your sandwich while walking in a beautiful day.
I feel like if the water is the true soul of Prague: the river looks the same at all times. So are Prague’s art nouveau buildings. I am amazed by how architectonically consistent this city is: all buildings may look alike one another, with some exceptions like that pearl called Mala Strana. Yet, all buildings surprise the eye with great door, carefully symmetric balconies, shining decorations art nouveau. So does the river, every wave, every moment.
Eventually, night, H&M, and free vodka.
Nothing is better than vodka to cut one’s indecisions loose.
After a short discussion
Bernardo and Marie decided who gets what: dress for her, red trousers for him.