Ciao a tutti,
il
mio internet sta facendo le bizze (sarà che non si è ancora adattato al passaggio
dall’estate all’autunno danesi?) e quindi purtroppo non riesco a postare alcun
video...Comunque, colgo l’occasione per ringraziare chi mi ha contattato in
privato e su Facebook proponendo nuovi argomenti per i video: sono stati suggerimenti
davvero preziosi, è sempre bello sapere cosa ne pensate dall’altra parte dello
schermo.
Tuttavia, avevo promesso un altro post sull’argomento kontanthjælp e quindi ne approfitto. Ho
preso spunto da due reality shows (o come li chiamano qui, dokumentar =
documentario) che ho visto in televisione, in cui si seguivano le vite di due persone
molto diverse e per certi versi sono due estremi: una donna di poco più di quarant’anni
in cerca di lavoro e Robert, che lavoro non lo cerca proprio.
Apro una piccola
parentesi sul kontanthjælp (letteralmente contante=kontant e aiuto=hjælp), l’ultima
ratio in termini di stato sociale danese: in caso una persona (con almeno 8
anni di residenza in Danimarca di cui ha lavorato almeno 2 anni e mezzo) sia
senza lavoro, senza Akasse e con meno di 10.000 corone di patrimonio mobiliare
o immobiliare, può accedere al kontanthjælp a patto che sia iscritto ad un
Jobcenter (e diventa cosi un kontanthjælpmodtager: un beneficiario). I kontanthjælpmodtagerein Danimarca sono circa 170mila individui. Il minimo è 3.214 corone per gli under
25 che vivono con i genitori (una sorta di paghetta statale), mentre il massimo
è 13.732 corone per adulti senza lavoro. Come fare per il kontanthjælp? Occorre rivolgersi al Jobcenter del proprio comune.
Torno ai due
esempi. Purtroppo non mi ricordo il nome della prima ma era un caso che mi ha
colpito. Confesso che inizialmente mi sono sentito quasi “tradito” dalla Danimarca.
In breve: lui ha un buon lavoro, lei è una segretaria d’azienda che non ha
lavoro da due anni, di cui l’ultimo anno senza nemmeno colloqui. Loro hanno due
figli ed una casa medio grande non lontano da Copenhagen. La sua Akasse, di lei, sta per
finire, dopo due anni. Durante il documentario, lei va a due colloqui ma non
riesce ad avere il lavoro. Dato che hanno casa e macchina, lei non può ricevere
il kontanthjælp e sono costretti a vendere la macchina per non finire in
perdita a fine mese. Ma come? La Danimarca non era il paese dove comunque
nessuno muore di fame? Eppure se vuoi che lo stato ti garantisca la
sopravvivenza…devi vendere casa, macchina etc., finire i soldi del ricavato ed
infine interviene il kontanthjælp. Pensandoci
meglio, è proprio questo lo spirito del kontanthjælp: nessuno muore di fame. Certo,
fa male pensarlo nel caso ci fossimo noi: per me la casa è sacra e dovere
vendere la casa nel caso non si abbiano soldi sembra un copione di un film
americano. Tuttavia, questo non vuol dire che lo stato (cioè i taxpayers, per
dirla all’americana) debbano garantire a tutti di avere una casa di proprietà.
L’altro esempio “estremo”
è Robert Nielsen, per i fans “Dovne Robert” (il pigro Robert), che è diventato
in pochi giorni una celebrità. In particolare, Robert ha 44 anni e vive di
kontanthjælp da 11 anni, dicendo che quella somma gli permette sfuggire allo
sfruttamento e dall’accettare lavori sottopagati, che lui identifica in lavori
pagati meno di 100 corone all’ora. Facciamo un rapido conteggio: 37 ore di
lavoro alla settimana per quattro settimane al mese fanno circa 100.000 corone
nette all’anno (ho fatto un calcolo approssimativo), cioè poco più di 8.000
corone nette al mese. Certo, non si potrebbe vivere in centro a Copenhagen, si
dovrebbero fare rinunce e soprattutto bisognerebbe svegliarsi tutti i giorni ed
andare a lavorare anche se non se ne ha voglia.
Non voglio fare il moralista,
per carità, il disagio dei giovani che non trovano (ed alcuni nemmeno cercano
lavoro) non può essere semplificato. Ma Robert no. Robert è riuscito a stare
disoccupato negli anni 2000 in Danimarca, dove la disoccupazione era dello
0,2%. Bisogna impegnarsi. Se Robert può vivere senza lavorare è perché molti,
invece, si svegliano controvoglia per andare ad un lavoro che li disgusta e li
sottopaga perché credono davvero che il lavoro nobiliti, cioè lavorano per vivere
e per far vivere Robert. Fortunatamente, la favola ha un lieto (?) fine. Robert ha trovato un lavoro all’altezza delle sue aspettative, anzi due: sarà colonnista
(sì signori, giornalista) per DR2 e BT, una rete televisiva ed un giornale
locali.
Ho sempre pensato
di avere una visione molto nordica dello stato sociale: uno stato che si
rispetti dovrebbe garantire a tutti la sopravvivenza, dovrebbe garantire a
tutti di avere le stesse possibilità di realizzarsi e dovrebbe anche essere
solidale fiscalmente e culturalmente. La Danimarca ci è generalmente riuscita,
anche se conserva un certo paternalismo e pedagogismo culturale di fondo. Come tutti i welfare states che si rispettino, anche il welfare danese parte dal presupposto che tutti vogliano lavorare e vogliano
contribuire allo stato sociale. La vera radice dello stato del welfare implica
che i paganti siano in maggior numero dei beneficiari. Per questo, trovo giusto (anche se rode) che lo stato non debba pagare la casa di una famiglia che sta vivendo al di sopra
delle proprie opportunità, almeno temporalmente. Trovo anche giusto che non si
debba pagare Robert. Per usare le parole di un politico conservatore locale
(non che sia un suo fan…) “è un diritto non volere lavorare; tuttavia non mi
sembra giusto non lavorare a spese di tutti gli altri che lavorano”.
Sarà per questo
che da molte parti ormai viene predicata una riforma del kontanthjælp che
vadano verso un maggiore coinvolgimento dei beneficiari. Cioè, che si riduca il
rischio passivo : si prevede che per i beneficiari il dovere di accettare
lavori offerti dal Jobcenter con un massimo un mese di totale assenza dal
lavoro), il dovere per gli under 30 senza istruzione superiore di iscriversi a
corsi professionalizzanti.
I soldi, si sa, non fanno la felicità, però sappiamo anche che aiutano. Dati i brutti tempi, le televisioni ed i giornali danesi stanno dedicando molta attenzione al “penge”. (E non preoccupatevi, non ha una pronuncia strana…si pronuncia proprio come si scrive: penge, con un accento acuto sulla prima vocale, qualcosa tipo pénge). Questo post ha un /1 perché vuole essere il primo di due dedicati a condividere con voi la concezione del penge in Danimarca. O almeno, quello che credo di averne capito io.
Ci diciamo sempre che uno dei fattori positivi della Danimarca è quello di avere una società quasi senza classi, nel senso che a nessuno importa che lavoro si faccia o che posto si occupi nella scala sociale, data che le relazioni sociali non si costruiscono su questa base. Personalmente, credo anche che la Danimarca sia ancora uno dei pochi paesi al mondo dove il semplice fatto di avere un lavoro garantisce la possibilità di una vita indipendente, incluso una casa. Non importa che lavoro si faccia. Insomma, sembra che il lavoro in Danimarca nobiliti davvero.
Un abbraccio a
tutti ed ancora scusate per la lunghezza, avevo poco tempo.
Francesco
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