Tuesday, November 19, 2013

Reportage quasi live dal voto - 19 Novembre 2013


Ciao a Tutti!! Sono appena uscito da fare il mio dovere di cittadino alle elezioni locali di Viborg ed ho pensato di fare un piccolo reportage sulle elezioni in salsa danese.

Innanzitutto non ti chiedono la carta d'identità. Chi può votare riceve il certificato elettorale (che qui si chiama valgkort, cioè carta - kort - dell'elezione -valg), poi si reca in un booth il cui numero è stampato sulla valgkort e poi...? e poi?

Beh l'unica cosa che devi portare a dimostrazione del fatto che sei veramente tu è la data di nascita. Cioè gli scrutatori ti prendono la valgkort, scorrono il registro fino a quando incontrano il tuo nome e, registro in bella vista che chiunque può vedere, ti chiedono la data di nascita.

Quindi la prima grande lezione delle elezioni danesi è: se rubi il certificato elettorale al tuo vicino, cerca di sapere anche la sua data di nascita e potrai votare per lui.

Poi, una volta uscito mi sono reso conto che davanti al seggio c'era un candidato, con tanto di striscione, che distribuiva volantini e faceva propaganda il giorno delle elezioni, davanti al seggio elettorale. Mi è sembrata un po' una cosa da terzo mondo, elettoralmente parlando, dato che almeno il silenzio elettorale...ma (seconda grande lezione delle elezioni danesi) qui non si incazza nessuno e quindi non deve essere un grande issue, dato che probabilmente tutti partono dal punto che le scelte elettorali di ciascuno sono già state maturate.

Un saluto e buon voto a tutti!

Francesco


Monday, July 15, 2013

Sommer!

 

Ciao a tutti, scusate se questa volta non ci sarà un video ma purtroppo non ho fatto on tempo prima della partenza. Sí, perché è estate e si parte per le vacanze e di questo parleremo in questo post. Estate in danese è sommer. Simile all'inglese, con la O ben aperta, l'estate è la stagione dove tutti sorridono, dove si moltiplicano i gesti di generosità, dove le file vengono fatte con allegria oltre che con la normale disciplina, dove la gente è felice purché non piova, dove coke dicono i buoni danesi "se ci fosse una buona estate qui, perché andare via in vacanza all'estero?". Purtroppo una buona estate in Danimarca non si vede da un po' ma devo ammettere che è splendida quando si apre in tutto il suo splendore: 25-30 gradi durante il giorno, 10-15 gradi durante la notte, chiaro fino a tardi e mai veramente buio. Grigliare nelle lunghe notti estive è uno dei piaceri che vi consiglio di provare. D'altronde, l'influenza del meteo sull'umore danese non è nuovo e trova nella lingua la sua espressione. Infatti, mentre l'inverno ha un nome familiare (vinter, come in inglese winter e pronunciato "vinta" per il vecchio trucco della er che diventa a), primavera ed autunno hanno nomi del tutto particolari e che come detto rivelano quanto sommer sia importante per i danesi. Primavera è forår ed autunno è efterår, cioè: prima (for) dell'anno e dopo (efter) dell'anno. A dire il vero, prima non si scrive for ma før. Il for si USA per tutte quelle azioni o quei concetti che non solo precedono ma anche preparano l'azione o il concetto successivo. Sembra proprio che l'estate almeno in danese coincida con l'anno, o corse con l'unico periodo dell'anno che valga veramente la pena. Per questo la stagione prima è vista con attesa e come preparazione, le ultime piogge d'aprile con i primi soli...e la stagione dopo l'estate invece è guardata con malinconia come la stagione dopo l'estate.
Con questo post Lezioni di Danese va in ferie. A proposito, ferie in danese si dice ferie :) voi? Quali piani per sommer? Io parto domani. Vado due mesi in sud America...Brasile, Uruguay, Argentina rino alle nevi della Patagonia fino a dove la strada lo consentirà, poi su risalendo la spina dorsale delle Ande, Cile Bolivia e Perù. Se questo blog va in ferie, se ne apre un altro sul questo viaggio: latinoamericanabackpack.wordpress.com a presto...in America Latina! Baci, Francesco

Tuesday, February 12, 2013

Votantonio Votantonio


Buongiorno a tutti, anzi buonasera.
Oggi sono un po’ corporate con la camicia che sono appena tornato dal lavoro ma non volevo lasciarvi soli in questo momento delicato. Delicato perché ci sono le elezioni, tra un paio di settimane in Italia e poi tra qualche settimana per il Papa. Ed allora ho pensato di fare un altro post per il blog.
Allora, come sono le elezioni in Danimarca?

In Danimarca l’elezione è et valg, che vuol dire sia elezione che scelta, ed in realtà l’elezione è proprio quello, una scelta. E qui arriva il genio danese, nel senso che il voto è en stemme. Attenzione: stemme vuol dire anche voce, e questo lo trovo straordinario perché ci riporta indietro a quelle che sono le radici della democrazia, la democrazia greca, dove si riunivano tutti in una piazza e, urlando, testimoniavano l’approvazione per una proposta formulata nell’agora. E quindi ci riporta al significato originale della democrazia: il governo di chi urla più forte o di chi ha più urla.
Delle elezioni italiane sappiamo ormai tutti, e ci sarebbero anche molte cose che non vorremmo sapere. Parliamo invece della politica danese. La politica danese è più o meno bipartitica, ha un sistema proporzionale ad una Camera sola, ed i giornali dividono i partiti tra il Blocco Rosso (Rød Blok) ed il Blocco Blu (Blå Blok), che come dicono i colori sono rispettivamente i socialisti/Socialdemocratici ed i conservatori ed i liberali. Un po’ fuori dagli schemi è il partito del popolo danese (Dansk Folkparti, DF), che è l’omologo nazionale della Lega nostrana, che comunque appoggia esternamente i governi di destra.
Partiamo da quelli che hanno perso le ultime elezioni, il Blå Blok, che si compone essenzialmente di un partito che si chiama Venstre ed è un partito liberale. La cosa carina è che il partito sta a destra, ma la parola venstre vuol dire sinistra. Eppure sta a destra, cosa che io trovo stupenda. Oltre a essere il partito principale della politica danese, monopolizza quasi tutta l’area centro destra, che comprende altri partiti minori come Liberal Alliance, i conservatori e come detto DF.
Se andiamo al Blocco Rosso, troviamo partendo dal centro i socialdemocratici, partito di maggioranza di governo, del primo ministro Helle Thorning Smith, quella che Berlusconi le guardò il culo e con Sarkozy commentò che era bello. Poi troviamo un altro partito di governo che è un partito dal nome nostalgico, il “Partito Socialista del Popolo” danese, mi sono anche fatto crescere la barba alla compagno Fidel in onore loro. Sono un partito di impronta socialista, stanno a sinistra dei socialdemocratici, che come alleati hanno anche un altro partito che si chiama Radikale Venstre, che sono un po’ come i nostri radicali: liberisti in materia economica e socialisti/socialdemocratici in materia di welfare, si collocano a destra dei socialdemocratici anche se a sinistra e sono una frattura di sinistra del partito Venstre e stanno davvero a sinistra.
Più a sinistra di tutti sta un partito che si chiama Unità, la Lista Unità (Enhedslisten). È un partito di ispirazione rossoverde quindi ecologista, movimentista, quasi come Sinistra Ecologia e Libertà, non è di governo, appoggia esternamente, e visto che è molto di sinistra non ha un segretario ma un collegio di portavoce capitanati da Johanne Schmidt-Nielsen, una della parlamentari più giovani della Danimarca se non d’Europa che ha solo 26 anni e che si prenota per un futuro brillante della politica danese. Se fossimo in Italia per 40 non ce la scrolleremmo di dosso.
Questa era una brevissima incursione nella politica danese: votate tramite busta se siete italiani all’estero, votate se siete in Italia. Vi auguro buone elezioni, spero ci sarà un altro post prima delle elezioni o magari uno dopo per farci due risate sui risultati.
Mi raccomando continuate a seguirmi sul blog e su Facebook, che mi arrivano nuovi Like ogni giorno ed è sempre bello. Se avete idee per nuovi post, come sempre, fatemi sapere.
Un abbraccio a tutti,
Francesco

Sunday, January 20, 2013

D'accordooooo?


Buongiorno a tutti,



visto che in Italia siamo in campagna elettorale, almeno io cercherò di mantenere le promesse di tenere il video sotto i due minuti e per riuscirci ho scelto di parlare oggi di una parola brevissima e molto usata: enig. Proprio cosí, si scrive enig ma si pronuncia eni, la g è muta. At være enig vuol dire essere d'accordo, ma non si usa come diceva Vanna Marchi, “D'accordoooo?”. Anche se la parola è semplice, dobbiamo fare un po' d'attenzione a come e quando si usa.

Innanzitutto, come si usa: con significato positivo si dice semplicemente “enig” alla fine di un discorso o di un concetto espresso dal nostro interlocutore. Si può dire anche “Jeg er enig”, ma enig è sufficiente.
Se invece il significato è negativo, dobbiamo fare un piccolo sforzo in più e dire “jeg er uenig”, cioè io sono in disaccordo. La g finale è sempre muta ma è importante fare sentire la u iniziale che, come sappiamo, cambia il significato delle parole da positivo a negativo. (Per esempio, vi ricordate che gli articoli possono essere determinati – bestemt o indeterminati – ubestemt?). Se ci pensiamo in italiano, può sembrare un po’ forte; tuttavia, il danese è pieno di espressioni un po’ tranchantes. Per esempio, è normale dire che non abbiamo capito quello che l’altro dice con una espressione che in italiano suona forte come: “non credo di avere capito quello che dici” (jeg tror ikke at jeg forstår det der du siger…ok, non è cosí facile da ripetere in un colpo solo J).  

Poi, quando si usa “enig”. Come abbiamo visto sopra, si può usare con significato affermativo o negativo, ma non si usa mai nelle frasi interrogative. Per esempio, se si vuole chiedere all’interlocutore se è d’accordo, non si dice “Er du enig?” (sei d’accordo?). Si usa piuttosto una espressione più aperta: “Hvad synes du?” (che ne pensi?). Oppure, se ha gli occhi sbarrati e sembra che lo abbiamo perso per strada, “er du med?” (letteralmente, “sei con (me)?”, cioè, “mi segui?”). Qui è il ragionamento inverso a quanto dicevo prima sulle espressioni tranchantes… alla faccia di chi dice che il danese è noioso: chiedere direttamente se qualcuno è d’accordo…è proprio troppo diretto. Inoltre, in Danimarca è buona regola chiedere se gli altri sono d'accordo. Ricordiamoci che una società basata sul consenso vuol dire chiedere il parere di tutti (anche se poi nessuno ci impedisce di fare quello che vogliamo lo stesso :) )

Quindi ricapitolando: possiamo essere enig od uenig, ma non dovremmo chiedere se qualcuno è d’accordo con noi, quanto cosa ne pensa.

E adesso sí, come diceva Vanna Marchi: "D'accordoooo?".

Un abbraccio a tutti e buona settimana.
Francesco

Monday, January 7, 2013

Buon Natale e Buon Anno Nuovo!





No, non è un augurio, o per lo meno non solo. La verità è che l’ho detto talmente tante volte quasi automaticamente che alla fine mi è venuta voglia di scrivere un post e facri un video.
Quindi per prima cosa mi sono fatto crescere la barba da Babbo Natale (che qui si chiama Julemand, ossia l’uomo di Natale), giusto per darmi un tono, anche se ancora mi manca qualche anno e qualche spavento (e con l’aiuto della cucina danese, qualche chiletto) per essere credibile.
Comunque, non siamo qui per parlare di me ma per parlare di Natale e Capodanno.
Come si dice in Danese? Sì, lo so che sono appena passati ed avrei dovuto svegliarmi prima. Ma non siamo qui per parlare di me… Comunque, si dice “God Jul og godt nytår”.



In realtà, si direbbe glædelig Jul. Glædelig vuol dire felice (per chi parla inglese, glad), ma non volevo farlo più complicato di quello che già è. Inoltre, questa espressione mi permette di paragonare la pronuncia di god e godt.
Vi ricordate che in un altro post avevo parlato della d che ha un suono un po’ strano, tipo con la lingua fuori dai denti? Bravi. Naturalmente, visto che siamo in Danimarca, niente ha un solo suono (alla faccia di chi dice che è un paese noioso…In particolare, come potete sentire, in god la d diventa muta e la o ha un suono ottuso (spero non ci sia nessun linguista all’ascolto…anzi sì che ci sia, così almeno mi insegna…linguistaaaaaaa). Invece, in godt la d si accoppia alla t e la o diventa acuta.
Questa differenza nella pronuncia si applica a tutte le parole dove appare. O seguida da d è ottusa, o seguita da dt è acuta.
Ma soprattutto: perché con Jul mettiamo god e con år usiamo godt? Vi ricordate uno dei primi posts, dove dicevo che il danese non ha il genere e che i sostantivi si dividono in parole en e parole et? Beh Jul è una parola en (den Jul) mentre år è una parola et (det år). Gli aggettivi seguono il ”genere” del sostantivo e mentre i sostantivi en lasciano l’aggettivo generalmente invariato, i sostantivi et aggiungono generalmente la t alla fine dell’aggettivo. Quindi…god Jul og godt nytår!
Pensavate che fosse finita? E invece no! Concludo con una piccola nota sociale. Godt nytår ha la stessa funzione di tak for sidst. Serve a riallacciare i contatti dopo l’anno nuovo. Questo vuol dire che possiamo usarlo sempre, senza timore, almeno fino alla fine di gennaio quando rivediamo per la prima volta persone che conosciamo.
OK adesso siamo davvero alla fine. Spero di essere riuscito a manterere la promessa elettorale di stare sotto i due minuti.
Come annunciato in un altro post, ora c’è anche la pagina Facebook di Lezioni di Danese, dove posterò sia i posts sia altre notizie succulente. Fatemi sapere cosa ne pensate come sempre, anche suggerimenti per prossimo posts!
A presto.
Un abbraccio,
Francesco 

Friday, September 28, 2012

La parola del giorno: Penge / 1 - kontanthjælp


Ciao a tutti, 

il mio internet sta facendo le bizze (sarà che non si è ancora adattato al passaggio dall’estate all’autunno danesi?) e quindi purtroppo non riesco a postare alcun video...Comunque, colgo l’occasione per ringraziare chi mi ha contattato in privato e su Facebook proponendo nuovi argomenti per i video: sono stati suggerimenti davvero preziosi, è sempre bello sapere cosa ne pensate dall’altra parte dello schermo. 


Tuttavia, avevo promesso un altro post sull’argomento kontanthjælp e quindi ne approfitto. Ho preso spunto da due reality shows (o come li chiamano qui, dokumentar = documentario) che ho visto in televisione, in cui si seguivano le vite di due persone molto diverse e per certi versi sono due estremi: una donna di poco più di quarant’anni in cerca di lavoro e Robert, che lavoro non lo cerca proprio.

Apro una piccola parentesi sul kontanthjælp (letteralmente contante=kontant e aiuto=hjælp), l’ultima ratio in termini di stato sociale danese: in caso una persona (con almeno 8 anni di residenza in Danimarca di cui ha lavorato almeno 2 anni e mezzo) sia senza lavoro, senza Akasse e con meno di 10.000 corone di patrimonio mobiliare o immobiliare, può accedere al kontanthjælp a patto che sia iscritto ad un Jobcenter (e diventa cosi un kontanthjælpmodtager: un beneficiario). I kontanthjælpmodtagerein Danimarca sono circa 170mila individui. Il minimo è 3.214 corone per gli under 25 che vivono con i genitori (una sorta di paghetta statale), mentre il massimo  è 13.732 corone per adulti senza lavoro. Come fare per il kontanthjælp? Occorre rivolgersi al Jobcenter del proprio comune.


Torno ai due esempi. Purtroppo non mi ricordo il nome della prima ma era un caso che mi ha colpito. Confesso che inizialmente mi sono sentito quasi “tradito” dalla Danimarca. In breve: lui ha un buon lavoro, lei è una segretaria d’azienda che non ha lavoro da due anni, di cui l’ultimo anno senza nemmeno colloqui. Loro hanno due figli ed una casa medio grande non lontano da Copenhagen. La sua Akasse, di lei, sta per finire, dopo due anni. Durante il documentario, lei va a due colloqui ma non riesce ad avere il lavoro. Dato che hanno casa e macchina, lei non può ricevere il kontanthjælp e sono costretti a vendere la macchina per non finire in perdita a fine mese. Ma come? La Danimarca non era il paese dove comunque nessuno muore di fame? Eppure se vuoi che lo stato ti garantisca la sopravvivenza…devi vendere casa, macchina etc., finire i soldi del ricavato ed infine interviene il kontanthjælp. Pensandoci meglio, è proprio questo lo spirito del kontanthjælp: nessuno muore di fame. Certo, fa male pensarlo nel caso ci fossimo noi: per me la casa è sacra e dovere vendere la casa nel caso non si abbiano soldi sembra un copione di un film americano. Tuttavia, questo non vuol dire che lo stato (cioè i taxpayers, per dirla all’americana) debbano garantire a tutti di avere una casa di proprietà.  

L’altro esempio “estremo” è Robert Nielsen, per i fans “Dovne Robert” (il pigro Robert), che è diventato in pochi giorni una celebrità. In particolare, Robert ha 44 anni e vive di kontanthjælp da 11 anni, dicendo che quella somma gli permette sfuggire allo sfruttamento e dall’accettare lavori sottopagati, che lui identifica in lavori pagati meno di 100 corone all’ora. Facciamo un rapido conteggio: 37 ore di lavoro alla settimana per quattro settimane al mese fanno circa 100.000 corone nette all’anno (ho fatto un calcolo approssimativo), cioè poco più di 8.000 corone nette al mese. Certo, non si potrebbe vivere in centro a Copenhagen, si dovrebbero fare rinunce e soprattutto bisognerebbe svegliarsi tutti i giorni ed andare a lavorare anche se non se ne ha voglia.
Non voglio fare il moralista, per carità, il disagio dei giovani che non trovano (ed alcuni nemmeno cercano lavoro) non può essere semplificato. Ma Robert no. Robert è riuscito a stare disoccupato negli anni 2000 in Danimarca, dove la disoccupazione era dello 0,2%. Bisogna impegnarsi. Se Robert può vivere senza lavorare è perché molti, invece, si svegliano controvoglia per andare ad un lavoro che li disgusta e li sottopaga perché credono davvero che il lavoro nobiliti, cioè lavorano per vivere e per far vivere Robert. Fortunatamente, la favola ha un lieto (?) fine. Robert ha trovato un lavoro all’altezza delle sue aspettative, anzi due: sarà colonnista (sì signori, giornalista) per DR2 e BT, una rete televisiva ed un giornale locali.

Ho sempre pensato di avere una visione molto nordica dello stato sociale: uno stato che si rispetti dovrebbe garantire a tutti la sopravvivenza, dovrebbe garantire a tutti di avere le stesse possibilità di realizzarsi e dovrebbe anche essere solidale fiscalmente e culturalmente. La Danimarca ci è generalmente riuscita, anche se conserva un certo paternalismo e pedagogismo culturale di fondo. Come tutti i welfare states che si rispettino, anche il welfare danese parte dal presupposto che tutti vogliano lavorare e vogliano contribuire allo stato sociale. La vera radice dello stato del welfare implica che i paganti siano in maggior numero dei beneficiari. Per questo, trovo giusto (anche se rode) che lo stato non debba pagare la casa di una famiglia che sta vivendo al di sopra delle proprie opportunità, almeno temporalmente. Trovo anche giusto che non si debba pagare Robert. Per usare le parole di un politico conservatore locale (non che sia un suo fan…) “è un diritto non volere lavorare; tuttavia non mi sembra giusto non lavorare a spese di tutti gli altri che lavorano”.

Sarà per questo che da molte parti ormai viene predicata una riforma del kontanthjælp che vadano verso un maggiore coinvolgimento dei beneficiari. Cioè, che si riduca il rischio passivo : si prevede che per i beneficiari il dovere di accettare lavori offerti dal Jobcenter con un massimo un mese di totale assenza dal lavoro), il dovere per gli under 30 senza istruzione superiore di iscriversi a corsi professionalizzanti.

I soldi, si sa, non fanno la felicità, però sappiamo anche che aiutano. Dati i brutti tempi, le televisioni ed i giornali danesi stanno dedicando molta attenzione al “penge”.  (E non preoccupatevi, non ha una pronuncia strana…si pronuncia proprio come si scrive: penge, con un accento acuto sulla prima vocale, qualcosa tipo pénge). Questo post ha un /1 perché vuole essere il primo di due dedicati a condividere con voi la concezione del penge in Danimarca. O almeno, quello che credo di averne capito io.

Ci diciamo sempre che uno dei fattori positivi della Danimarca è quello di avere una società quasi senza classi, nel senso che a nessuno importa che lavoro si faccia o che posto si occupi nella scala sociale, data che le relazioni sociali non si costruiscono su questa base. Personalmente, credo anche che la Danimarca sia ancora uno dei pochi paesi al mondo dove il semplice fatto di avere un lavoro garantisce la possibilità di una vita indipendente, incluso una casa. Non importa che lavoro si faccia. Insomma, sembra che il lavoro in Danimarca nobiliti davvero.

Un abbraccio a tutti ed ancora scusate per la lunghezza, avevo poco tempo.
Francesco

Monday, September 17, 2012

Donne donne...oltre alle gambe c'è di più

Ciao a tutti!
Di ritorno un weekend a Copenhagen, avere rivisto alcuni amici ed avere salutato un amico che se ne va, torna la rubrica sulle notizie danesi...dopo la pausa estiva ed una piccola riorganizzazione del blog (che assomiglia sempre di più ad una rivoluzione permanente...), anche i giornali di carta e via etere in Danimarca hanno ricominciato a viaggiare a pieno regime.

La notizia più interessante, o almeno distante da quello che siamo abituati a vedere, è la ledership dei partiti che compongono la maggioranza in Danimarca (il Rød Blok, il blocco rosso) sono tutte donne, di età compresa tra i 28 ed i 45 anni. Il primo ministro (Helle Thorning-Schimt) e la leader di Radikale Venstre (Margrethe Vestager) hanno sorpassato la quarantina, il segretario di SF è sulla trentina mentre la portavoce di Enhedslist (lista di sinistra ecologista senza un segretario ma un comitato di segreteria coordinato da un portavoce) è intorno ai 28 anni. La più recente in questo "club delle quattro" è il segretario di SF (Astrid Krag, trent'anni, due bambini, sposata con un rapper locale), in sostituzione di Villy Søvndahl, il ministro degli esteri anti-europeista (???) e dall'inglese...originale e di cui molti volevano la testa.

Premetto che il punto positivo di questo quartetto non mi pare il fatto che siano tutte donne: è sicuramente un buon segnale, sebbene più folkloristico che altro in un paese dalla avanzata parità come la Danimarca. D'altronde, non sono mai stato un sostenitore delle discriminazioni positive, perché dovrebbero essere temporanee ma sono, al contrario, difficili da fermare e tendono a diventare permanenti. Meglio una donna o un uomo al governo? Meglio uno bravo. Io preferisco una persona capace di ricoprire un ruolo le cui decisioni avranno un impatto sulla mia vita. Che sia uomo o donna, sinceramente, non mi interessa più di tanto.

Piuttosto, ciò che mi colpisce in positivo è la varietà delle età del quartetto. La bontà di una classe dirigente si misura proprio, a mio avviso, dalla capacità di proporre ed accogliere diverse istanze. Ci diciamo spesso di come i danesi siano chiusi all'esterno, a quanto pare sono tuttavia molto aperti e mobili all'interno. In Italia ci lamentiamo che sono sempre i soliti, no?

Proprio l'età, d'altro canto, è a mio avviso un punto debole. Per esempio, Johanne Schmidt-Nielsen, la portavoce di Enhedslisten, ha recentemente finito l'università ed il suo lavoro è stato da sempre la politica (chapeau, comunque: riuscire a finire gli studi mentre ti fai eleggere in Parlamento non è da tutti). L'attuale ministro delle Finanze della Danimarca ha 26 anni. Non voglio dire che è necessario essere laureati per essere in Parlamento (e comunque non vuol dire che si sia intelligenti): occorre passione, capacità di trasmettere ideali, carisma, credere nelle proprie idee ed una buona dose di fortuna per essere eletti. Tuttavia, io preferirei che decisioni importanti venissero affidate a chi avesse almeno un po' di esperienza lavorativa, conosce la situazione dei lavoratori che vuole difendere, soprattutto a sinistra, conosca la difficoltà di far quadrare bilanci e risorse, abbia provato la responsabilità di sbagliare e ne abbia pagato le conseguenze.

Rileggo questo post e mi viene da sorridere. Ma abbiamo visto chi abbiamo in Parlamento in Italia al giorno d'oggi, tra giovani e non giovani? Mi sto lamentando che ci siano donne e giovani in politica? O forse non sarà che ne sono invidioso perchè avrei voluto essere dove sono loro (i giovani)? Forse entrambi. Il fatto di vedere tanti giovani occupare posizioni di rilievo in politica mi fa riflettere: io la trovo come la rottura di un tabù culturale (anzi, due). In Italia diciamo sempre che odiamo i politici di professione e che uno deve farsi la gavetta. In Danimarca ci insegnano che, innanzitutto, la politica è un lavoro, ed un lavoro vero. Sui generis, certo: non hanno nessun fiato del capo sul collo, ma in fin dei conti il loro capo siamo noi. Tocca a noi allora assumere responsabilità di esaminare da vicino quello che fanno e di non votarli. Non c'è nessuno da votare? Beh francamente lo trovo difficile da credere. Dall'altro lato, la gavetta è come una discriminazione positiva: rischia di diventare permanente. E di fatto, in Italia, lo è diventata: la classe dirigente è vecchia (59 anni di media) rispetto alla Danimarca, e molti giovani emigrano. Sul fatto che l'esperienza abbia creato dei buoni politici in Italia...beh! Ben venga allora la Danimarca che si assume il rischio di fare decidere a dei giovani!

Questa settimana ci sono state altre notizie interessanti... però me le tengo per un altro post... :)

Alla prossima puntata.
Buon lunedì a tutti.

Un abbraccio,
Francesco

Friday, September 14, 2012

Manuale di sopravvivenza in Danimarca: la pensione

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Ciao a tutti,

come disse un membro del gruppo Facebook di Italiani in Danimarca, “la maggior parte di voi ha in media l'età di Jobs quando lo buttarono fuori dalla Apple), ma se lavorate in Danimarca non dimenticate la pensione”. In effetti Italia e Danimarca hanno due sistemi pensionistici diversi: benché simili nella sostanza, sono molto diversi nella forma. Una cosa su cui mi sento di insistere è: non importa che ci vediamo o meno vecchi in Danimarca. Una volta che abbiamo la nostra pensione, possiamo farne quello che vogliamo. Molti pensionati danesi si comprano casa al mare in Italia e vanno li a svernare. Dal mio punto di vista è fare il meglio che possiamo ora, per avere il meglio che possiamo dopo.

Come funziona la pensione in Italia e Danimarca
Il sistema italiano va direttamente nella busta paga e detrae una percentuale a fini pensionistici (i famosi contributi) senza che il lavoratore debba pensare alla propria pensione, garantisce a chi ha lavorato una pensione più alta della minima in relazione al numero di anni lavorati ed ai contributi versati, senza che il dipendente se ne debba preoccupare. Il sistema danese invece garantisce solo la pensione minima e quinidi costringe a risparmiare fin da giovanissimi, a farsi mutui molto grandi su 30-40 anni per comprarsi una casa grande da vendere quando si andrà in pensione (andando ad arricchire il fondo pensione), oltreché a detrarre una parte del proprio salario a fini pensionistici, perché tutti riceveranno solo la pensione minima. Ogni buon danese di 30 anni ha a suo carico tre mutui: casa, macchina e studi (perchè se è vero che ogni studente danese riceve 6000 corone al mese per sei anni di studi universitari – circa 800 Euro – è pur vero che molti raddoppiano con prestiti d'onore perchè la vita nelle città universitarie maggiori è troppo cara).

Ok, ma in Danimarca? La folkepension
La pensione mimina è garantita anche in Italia, ma la pensione per chi ha lavorato dipende dai contributi, cioè da quanto il contribuente ha versato (percentuale del salario) e per quanti anni.
In Danimarca, tutti possono andare in pensione a partire dal 65.mo anno di età, indipendentemente da quanto si è lavorato. In Danimarca, la pensione minima (la folkepension) è garantita a tutti. Punto. Ma solo quella.
Gli stipendi all'estero sono più alti di quelli in Italia anche per questo motivo: il datore di lavoro non deve pagare nulla in più, tutto è in capo al dipendente.
Il resto di un ipotetico fondo pensione in Danimarca viene pagato dal lavoratore, trattenendolo volontariamente dal proprio salario, mettendolo appunto in un fondo pensione. Per avere l'intero ammontare della folkepension in Danimarca, è necessario passare in Danimarca almeno 40 anni dai 16 anni a 65. L'ammontare finale viene calcolato in quarantesimi , in base agli anni di permanenza in Danimarca, dal momento dell'iscrizione all'anagrafe (quando si ottiene il CPR). Per esempio, io sono arrivato in Danimarca quando avevo 31 anni, quindi potrò al massimo avere 34/40 di quella che in Italia chiamiamo la pensione sociale e che in Danimarca si chiama Folkepension.

Mi sembra la storia della cicala italiana e della formica danese...Ne discuto con alcuni danesi e dico “alla fine non mi sembra giusto che tutti riceviamo lo stesso, indipendentemente da quanto abbiamo lavorato (e quante tasse abbiamo pagato), perchè abbiamo contribuito differentemente al mantenimento del welfare”. Normalmente la risposta (candida, devo dire) è più o meno così: “Beh ma se hai versato molte tasse, vuol dire che hai guadagnato bene, quindi sta a te mettere da parte una parte del tuo salario in pensione”.


Cose da controllare quando si valuta un'offerta di lavoro in Danimarca.
  1. Salario su base annuale e non mensile: in Danimarca ci sono 12 mensilità mentre in Italia ed in altri paesi si applicano 13.80 o 13.92 mensilità. I paragoni, si sa, lasciano il tempo che trovano. Quando si cambia paese lo si fa anche e soprattutto perchè si ha bisogno di un cambio. Guadagnare di più o di meno, a questo punto, può non essere un fattore di cui teniamo in conto. Tuttavia, per avere un'idea di quanto guadagnerete e del tenore di vita che potrete affrontare, vi consiglio di prendere in considerazione il salario annuale.
  2. Piano pensione: come dicevo, in Danimarca l'impiegato può scegliere o concordare con l'impresa quanto trattenersi dallo stipendio e metterlo in un fondo pensione. Molte imprese offrono un piano pensione come parte dell'offerta di lavoro. Come per la A-kasse, pochi lo conoscono ma consiglio di farlo. Informatevi se c'è un'opzione presente nel contratto, in caso contrario contattate la vostra banca per un piano pensione privato. La quota del salario destinata al piano pensione non viene tassata (viene tolta dalla quota imponibile, quella su cui si pagano le tasse) e quindi si pagano meno tasse in totale, oltre a mettere da parte soldi per la vecchiaia.
  3. Il preavviso: in Danimarca, normalmente è di un mese durante i primi tre mesi e tre mesi per i seguenti tre anni di lavoro con lo stesso datore di lavoro, a crescere. Durante il preavviso, si continua a percepire il salario come se si lavorasse e le ore (ipoteticamente) lavorate, contano per il dagpenge. Se lasciate un lavoro per un altro, calcolate bene per non andare nei casini.
Spero che vi sia stato utile, anche se probabilmente noioso...aspetto i vostri commenti!
Come dice Umberto Eco, “Scusate la lunghezza, avevo poco tempo”.

Un abbraccio a tutti,
Francesco

Thursday, September 6, 2012

Manuale di sopravvivenza danese: Tak for sidst


Ciao a tutti,
Finalmente mi sono ripreso dalla depressione post-vacanze. Mi sono reso conto che una delle cose belle di vivere in Danimarca è partire per le vacanze. Perché una volta che sei abituato al prezzo della vita in Danimarca, soprattutto per i ristoranti, tutto ti sembra economico, uscire ai ristoranti diventa sempre di piú di un piacere e ti senti leggero leggero. Quando tornerai ”a casa”...beh innanzitutto non sarai piú in vacanza, e poi ti troverai a pagare una pizza margherita sui 10 euro e ti considererai fortunato.

Poi, complice il bel tempo delle destinazioni estive, ti sembra che tutti ti sorridano, il che mi ha dato l'idea per questo post. In principio, l'idea dell'interazione sociale ed umana è completamente diversa tra Italia e Danimarca (e vabbè, direte voi, mica c'è bisogno che ce lo dici tu). Eppure, a me non finisce di stupire. Per esempio i vicini: il vicino in Danimarca è tanto migliore quanto meno entra nella tua vita. Niente a che vedere con le sedie messe fuori dalla porta dai nostri nonni.

Per quanto riguarda i rapporti interpersonali, poi, io personalmente rimango spesso incastrato in alcune cose: prima, durante, e dopo la conversazione.
Innanzitutto, il saluto è una stretta di mano per le persone con un poca confidenza ed un abbraccio per gli amici. Una stretta di mano ferma ed un abbraccio senza pacche sulla spalla. Niente bacini, uno due o ”facciamo tre”, oppure ”partiamo dalla guancia destra o dalla sinistra?”. Nada. Mi ricordo uno dei miei primi giorni in Danimarca: venivo dal Belgio dove il saluto è sempre un bacio simultaneo e reciproco sulla guancia...immaginate la reazione del malcapitato danese???

Durante la conversazione, occhio al movimento del corpo, il famoso linguaggio non verbale. Finché non puoi dire di essere in confidenza (e l'alcol aiuta...) i danesi non si muovono, ti parlano guardando fissamente negli occhi e si aspettano che li si guardi negli occhi. A questo c'è anche una ragione pratica. Come ho scritto in un altro post, una volta dissi ad una mia insegnante di danese come facevano a capire tutte quelle piccole variazioni fonetiche fra parole che sono simili nella scrittura ma molto diverse nel significato. Quanto ci sarebbe voluto prima che anche io arrivassi a capire ogni parola? E lei mi rispose candidamente che ”Nemmeno noi capiamo ogni parola. Normalmente in una conversazione, noi danesi capiamo 50-60%, il resto lo indoviniamo dal contesto”. Per questo è importantissimo guardare negli occhi, anzi nelle labbra. Ti scappa una frase e sei fregato...

La cosa che più mi ha sorpreso, in positivo, è come si riallacciano le persone dopo l'ultimo incontro. Tak for sidst. Grazie per l'ultima volta. Anche se può sembrare triviale, è invece una parte fondamentale della cultura danese. Un modo per ricominciare, per richiamare la bella atmosfera dell'ultimo incontro, o forse solo per riallacciarsi. La cultura danese ha molte di queste piccole cose (no, non mi riferisco alle bandiere dappertutto...) che possono sembrare formalità, ma che io trovo una cosa molto bella e molto dolce, una cosa che potremmo e dovremmo imparare, piccole gentilezze che mettono di buon'umore. Soprattutto al ritorno dalle vacanze.

Buon ritorno a tutti!
Un abbraccio.
Take care,
Francesco



Wednesday, August 29, 2012

Rødgrød med fløde



Buongiorno a tutti, anzi god morgen. Scusate ancora il ritardo (ed i capelli) ma come ho detto in un altro post, la settimana scorsa ero a Bruxelles, e scusate anche la voce e le occhiaie, ma è stata una settimana...come dire? Intensa. Diciamo che ho fatto la mia parte per sostenere l'economia locale. Comunque, passiamo alla nostra lezione di danese per questa settimana, che come promesso si concentrerà su una pietra miliare nel processo di integrazione in Danimarca: rødgrød med fløde. La scelta è caduta qui grazie a coloro che hanno commentato il mio primo video su Facebook. È stato un bellissimo scambio di opinioni sul post ed in messaggi privati, che mi ha dato nuove idee per prossimi posts. Grazie davvero.

Questa frase è apparentemente innocua: significa budino di cereali (grød) rosso (rød, per via delle bacche che ci si mettono dentro) con formaggio morbido (fløde). In realtà, è un vero rito di iniziazione. Non appena proverete a parlare danese, ci sarà sicuramente un danese che vi chiederà di dirla. Tranquilli, comunque vada, non ce la farete mai al primo colpo e lo farete ridere. In fin dei conti bisogna ipotecare parte della propria reputazione ai fini dell'integrazione.

Questa frase mi permette anche di condividere alcuni trucchetti di fonetica. Della d ho accennato qualcosa nel primo video post. Ne parlerò in dettaglio in un prossimo post. Per ora, riconoscete il fonema? Vi ricordate quando dicevo che la d ha un certo fonema che si produce mettendo la lingua fuori ed appoggiandola sopra i denti?

Visto che ho promesso di lasciare i post sotto i due minuti, oggi parliamo della ø e la prossima volta parleremo della r.

La ø si pronuncia ø. Per parlare danese è necessario calarci in una realtà di suoni diversa da quella italiana. Non è solo il problema che non ci si capisca niente. Il problema è che mentre in italiano abbiamo otto fonemi corrispondenti alle vocali (à á è é i ó ò u), il danese ne ha più di venti. Come scrissi in un altro post, anche i danesi capiscono solo il 60% di quello che si dicono tra di loro.

È vero anche che finché la frase sarà strutturata bene, riusciremo a farci capire, ed a questo dedicherò un altro post (sto facendo più promesse di un politico). Tuttavia, dobbiamo perciò fare attenzione. Per esempio, alcune parole cambiano solo per una sola lettera ed una pronuncia non accurata rischia di far ridere più di rødgrød med fløde. Prendiamo ad esempio le parole bade (bagno), både (entrambi), bede (l'infinito di pregare), e bøde (multa). A seconda di come pronuncia la vocale, potremmo arrivare a convertire “Jeg skal på toilettet og tager en bade” (vado in bagno e mi faccio una doccia) in “ Jeg skal på toilettet og tager en bøde” (vado in bagno e mi faccio una multa).

Direi che non sono riuscito a mantere nemmeno la mia prima promessa (di tenere ogni video sui due minuti).
Spero comunque che nessun linguista se la prenda se ho semplificato un po'. Fatemi sapere se ho fatto confusione, se avete curiosità sulla lingua danese o avete dubbi su un argomento in particolare, oppure se magari preferite qualcosa più dedicato sulla fonetica, eccetera. Insomma, fatemi sapere. Compe sempre, il video è anche su youtube.

Quindi, all together now. Rødgrød med fløde.

Take care,
Francesco

Friday, August 24, 2012

Manuale di sopravvivenza in Danimarca: la disoccupazione (dagpenge)

Ciao a tutti.
Vi scrivo da Bruxelles e quindi niente video per questa settimana, anche se ho promesso un paio di contributi, che non mi sono scordato. Prometto di riparare la settimana prossima con una nuova lezione.
Oggi invece parliamo di lavoro. O meglio, come funziona in Danimarca quando il lavoro, ahimè, si perde.


Come vediamo, la Danimarca sta vivendo una nuova stagione di migrazioni. Non solo di immigrazione, ma anche di emigrazione, come ho scritto in un altro post. Nel gruppo “ufficiale” degli Italiani in Danimarca su Facebook, molti chiedono consigli su come si sta in Danimarca oppure come trovare lavoro, se la lingua è difficile, come è la vita sociale etc. Nella maggioranza dei casi, la scelta cade sulla Danimarca non per il clima piacevole, il buon cibo o la socialità delle persone, quanto per la ricerca di lavoro e di sicurezza sociale.
Premetto che personalmente, credo che nella ricerca di un lavoro conti di più la fortuna (o il caso) piuttosto che il nostro profilo o i suggerimenti che possiamo ricevere, come in tutte le attività che sfuggono al nostro controllo. Einsten lo diceva no? Per il successo di un evento (E), le azioni sulle quali abbiamo influenza (m) contano meno del caso (c al quadrato). Per chi volesse una lettura sul ruolo del caso nelle nostre vite, suggerisco Taleb ed il suo Cigno nero (no, non quello della Portman nel film).

Tuttavia, questo non è un post sul caso. Come dicevo, uno dei motivi per cui molti stanno dirigendosi verso la Danimarca è lo stato sociale: la Danimarca è uno dei paesi al mondo dove una persona può ancora vivere del proprio lavoro, indipendentemente dal lavoro. Nel caso rimanesse disoccupato, comunque non diventerà indigente perché lo stato provvederà alla sua sussistenza.

Ci sono vari modi in cui lo stato danese interviene. Parlerò del kontanthjælp (aiuto contante) e della folkpension (la “pensione del popolo”) in prossimi posts. Qui vorrei invece soffermarmi su quello che probabilmente più interessa chi sta attualmente lavorando o cercando un impiego in Danimarca, il dagpenge (letteralmente, moneta quotidiana), cioè: come avere diritto alla disoccupazione in Danimarca. Il post è un po' lungo (sorry) e per questo ho cercato di suddividerlo in domande, un sorta di FAQ.

Come fare per ottenere dagpenge?
Contrariamente a quanto si pensa, la Danimarca non ha alcun sussidio pubblico di disoccupazione. Esistono le A-kasser (da arbajde kasse, la cassa del lavoro): un'assicurazione facoltativa, variabile a seconda della A-kasse alla quale ci si iscrive (attorno a 50 € al mese), che provvede a pagare un sussidio di assicurazione pari ad una percentuale del salario (dipende dal salario) per un massimo di due anni. Basta digitare “A-kasse Danmark” su Google ed appariranno molti siti dove si confrontano prezzi e servizi. Il sussidio di disoccupazione è versato sotto forma di un ammontare che l'assicurato, disoccupato, riceve ogni giorno (da cui, dagpenge). Questa foto in internet lo spiega piuttosto bene.


A quali condizioni?
Il disoccupato non è semplicemente inattivo, ma è pagato per cercare lavoro a tempo pieno. Questo include l'invio di un numero di CV alla settimana, ed almeno un login alla settimana nel sito della A-kasse. La condizione principale è la residenza: per ottenere dagpenge si deve essere residenti in Danimarca, oltre naturalmente ad avere un CPR (conditio sine qua non). Ogni viaggio od uscita dalla Danimarca durante i giorni lavorativi deve essere comunicata alla A-Kasse che provvede a sospendere il pagamento per quei giorni. Inoltre, leggere sotto, è necessario avere lavorato un minimo di ore.

Quando?
Per avere diritto al dagpenge, l'assicurato deve avere lavorato almeno 1924 ore su tre anni. Attenzione: ai fini della A-kasse, le ore di lavoro vengono calcolate a partire da quando si è iscritti alla A-kasse: non vale lavorare 2500 ore, perdere il lavoro e poi iscriversi. In questo caso il computo delle ore per la A-kasse è zero.

Quanto?
Il dagpenge dipende se il lavoro contro la cui perdita ci si è assicurati è full-time o part-time (lo si dichiara al momento di iscriversi e la quota da pagare è diversa). Comunque, può essere fino a 17.073 corone al mese.

Quindi consiglio vivamente di iscriversi ad una A-kasse non appena si inizia un lavoro, full-time o part-time che sia, per non rischiare di lavorare per niente. L'iscrizione ed un lavoro per almeno 1924 ore (un anno full-time) qualsiasi danno accesso ad una buona disoccupazione per 2 anni, che permette di vivere dignitosamente mentre si cerca un altro lavoro oppure si cerca di cambiare la propria vita, per esempio fondando la propria impresa (anche di questo parlerò in seguito) Alcune sono anche un sindacato che dopo un certo numero di mesi di iscrizione paga anche eventuali spese legali per problemi sul lavoro.

Mi dispiace di avere scritto forse troppo, ma spero sia servito, non vedo l'ora di ricevere i vostri commenti sul blog nel caso abbia tralasciato qualcosa od abbiate domande!

Take care,
Francesco

Tuesday, August 14, 2012

Sopravvivenza quotidiana: cos'è udansk?


Ciao a tutti. 

Niente video per oggi, ma volevo condividere con voi una cosa di cui abbiamo parlato con alcuni amici non danesi, proprio come me. Si tratta di una parola che può spaventare e che può essere utile da conoscere per la sopravvivenza quotidiana in Danimarca. Viene tradotta come anti-danese, ma in realtà vuol dire inconsueto, inappropriato, non-come-dovrebbe-essere o non-si-è-mai-visto. Cos'è? Udansk

Forse avrete visto molte parole in danese che iniziano con la lettera U. A parte uddannelse (educazione), in quasi tutte le altre parole la U iniziale serve come negazione (come uhyggeligt = che fa paura).

Come sappiamo, la cultura danese fa spesso coincidere cultura patria e casa, soprattutto quando deve definire qualcosa in negativo. qualcosa di non-si-è-mai-visto-qui è udansk ma non ha connotati religiosi/patriottici/nazionalisti. Insultare le vecchiette è udansk, in italia diremmo "non s'è mai visto".

Per esempio, se digitiamo udansk in Google, il primo risultato delle immagini è una foto del leader di SF (ed attuale ministro) Villy Søvndal, che disse nel 2009 che un'azione di polizia (un'incursione notturna di sgombero in una chiesa occupata da richiedenti asilo) era udansk. Insomma, è come dire ”non ci appartiene, non fa parte del nostro bagaglio culturale”.
Søvndal: Udansk aktion - 1

Confesso che la prima volta che ho sentito da una persona che si lamentava il termine udansk, anche io sono balzato sulla sedia. Tuttavia è un'espressione e non deve spaventare, non scordiamoci che la Danimarca è/era molto omogenea culturalmente: patria, cultura, nazione concidono.

Quindi possiamo ben immaginarci come per un anziano il consueto sia danese, l'inconsueto sia non danese, ossia udansk. Mentre alcuni semplicemente non sanno come definirlo altrimenti e per altri può suonare po' old fashion, per altri è un'espressione che racchiude tanti significati in uno e risponde anche ad uno dei criteri della lingua danese: la praticità.

Buon (u)dansk a tutti.

Take care,

Francesco



Monday, August 13, 2012

Le presentazioni in danese

Ri-benvenuti nel magico mondo del danese per tutti (tutti gli italiani almeno). Come potete vedere dai contenuti, sono fermo da qualche mese. Sono stato moltissimo occupatissimo e poi in ferie.
Poi potrete vedere anche un'altra cosa, e cioè che questo blog o piccolo sito ha un formato nuovo, piú interattivo. Ossia, da oggi le lezioni (o lesioni) di danese saranno in video, mentre il testo del video sarà a seguire cosí che possiate leggere anche come si scrive. Cercherò di restare attorno ai due minuti per video, cosí che possa essere flessibile. Spero che sia un buon compromesso, fatemi sapere cosa ve ne pare commentando su questo post!

Partiamo dall'inizio, cioè dalle presentazioni. Innanzitutto scusate la pettinatura ma siamo a lunedí ed è duro per tutti. Comunque, quando due persone si incontrano per la prima volta di persona in Danimarca, c'è un rituale. Innanzitutto la stretta di mano forte o per lo meno ferma, lo sguardo fisso negli occhi e la conversazione va più o meno cosí.
A - "Hej, hvad hedder du?"
B - "Jeg hedder Francesco, hvad hedder du?"
A- "Jeg hedder Jonas (un nome qualsiasi), det glæder mig at møde dig".

Purtroppo questa è una di quelle espressioni che bisogna conoscere. Comunque possiamo vedere alcune cose che ci verranno utili in seguito.
1. Il fonema d: la lettera d dell'alfabeto si dice "de" ma si pronuncia d nel danese parlato. Non non vergognatevi di tirare fuori la lingua un po', almeno i primi tempi, per farvi capire bene e per prendere confidenza. Il danese ha molti piú fonemi dell'italiano e il d è fondamentale, anche se fa ridere.
2. L'espressione "det glæder mig" è traducibile come "mi fa piacere", in inglese per esempio c'è un aggettivo glad per dire felice.Si può usare in molte occasioni. Per esempio, se consigliate un ristorante ad un amico e poi ne è contento, allora potete dire "det glæder mig".

Spero che sia rimasto abbastanza corto e che possa essere di aiuto. Fatemi sapere cosa ne pensate!

Vi ses! (Ci vediamo...un'altra espressione da imparare a memoria :) )
Francesco



Thursday, June 7, 2012

Lezione n.5 - Il conto in banca in Danimarca: è davvero così facile?


Hej drenger og piger,
Ciao ragazzi e ragazze,

Riprendono le lezioni di danese con un caso pratico di sopravvivenza, 100% danese come la carne di maiale o le patate.
Se ti arriva a casa un foglio in danese dove l'unica parola che capisci è Konto, il primo istinto è quello di non firmare nulla. E ci mancherebbe. Se poi sopra c'è scritto anche SKAT, allora è meglio darci una seconda occhiata.

SKAT. Parola misteriosa ed ambigua che identifica il concetto di tesoro in ogni sfaccettatura. Vuol dire sia tasse (tesoro materiale) che amore (tesoro spirituale). Gli innamorati appiccicosi si chiamano skat tra di loro. I genitori chiamano skat i loro figli. Con la burocrazia c'è una relazione diversa: “Vuoi un caffè, skat?” “No, grazie. Mi accontento di farti pagare la macchina il doppio che a casa tua”.
Ma torniamo a bomba. Cioè alla lettera. Vedi la parola Konto ed a ben vedere segue un'altra parola. Nem, che vuol dire facile. Cos'è il Nem Konto? Vuol dire letteralmente "Facil-Conto". È una sorta di benvenuto nella burocrazia danese, che per la verità è piuttosto snella.

Il nem Konto è un conto corrente, il tuo conto corrente, quello ufficiale, è quello che scegli tu come conto corrente per i versamenti dagli enti pubblici: Ufficio tasse, comune, A-kasse ecc. E' dove vengono versati per esempio, i sussidi familiari o i rimborsi per le tasse. Già perché le dichiarazioni delle tasse, i vari 730, 740 etc., qui non si fanno. Te li fa Skat. E poi ti manda una lettera dicendo “Congratulazioni, questo è il tuo rimborso”. Ve lo dicevo che era snella.

Puoi avere diversi conti correnti, ma hai solo un nem Konto ed è necessario comunicarlo entro il primo anno di residenza. E' stato istituito per facilitare la vita non per complicarla...non è una società privata, è lo stato. Da quando una persona si registra (quindi entra in possesso del mitologico numero CPR e della carta gialla, la “gud kort”), si suppone che abbia almeno un conto corrente danese su cui depositare ogni entrata.

In un gioco dell'oca burocratico, per aprire un conto occorre essere registrati (avere il CPR). Comunque, meglio informarsi in banca perché alcune banche mandano avanti le pratiche perché sanno che la registrazione può durare mesi. A me, per esempio, tardò tre mesi, continuavano a dire che i miei documenti non gli arrivavano, finché non andai personalmente in ufficio, controllai lo schermo insieme all'impiegato e...meraviglia! Ero registrato da 2 mesi...

Comunque sia, il nem Konto è davvero facile. Non per niente il motto è “Dal pubblico al tuo conto”. Certo, è, che incrociando un paio di numeri (il CPR ed il nem Konto), ogni cittadino viene messo a nudo, il che suona un po' come il Grande Fratello. O come il vicino che non si vede mai in giro ma che sta sempre a spiare da dietro la porta socchiusa.

Alla prossima "lesione".
Francesco

Maggiori informazioni:

Sito del nem Konto: www.nemkonto.dk

Se hai il NemID si può andare sul sito: http://www.nemkonto.dk/da/Borger/Spoergsmaal-og-svar/Kan-jeg-aendre-min-NemKonto e qui puoi cambiare scegliendo login for selvbetjening