Sprog. Che poi si pronuncia ”spro”.
Parola magica che ipnotizza ogni nuovo arrivato. Una et- ord. Cioè
al bestemt (definito, ricordate?) è sproget.
Come sapete, o come forse non sapete, ogni persona che si registra
legalmente in Danimarca (al borgerservice, cioè servizio al
cittadino), non importa la provenienza, ha diritto a tre anni durante
i quali completare un corso di lingua danese presso la Sprogskole
(lingua scuola, cioè scuola di lingua) del comune di residenza.
Per chi viene in Danimarca senza conoscere nessuno (cioè, senza
network, altra parola magica...), la Sprogskole diventa il primo
punto di contatto con persone nella stessa condizione di nuovo
arrivato. Qual è un vostro ricordo della Sprogskole? Sera o mattina?
Siete ancora in contatto con i vostri compagni di corso? Io
personalmente esco spesso con loro...ma Viborg alla fine è
piccolina...
Condividete la vostra esperienza con altri nuovo arrivati
lasciatemi un messaggio qui sotto :)
Brevemente, funziona così:
ti registri (hai il CPR)
la Sprogskole ti convoca
ti assegnano un livello (ti fanno un esame d'entrata solo se
dici di avere una qualche conoscenza di danese)
puoi scegliere tra corsi diurni (18 ore a settimana) o serali
(6 ore a settimana)
a partire da quel momento, hai tre anni di tempo per finire
(gratis)
se decidi di sospendere la frequenza, devi comunicarlo alla
scuola e al Jobcenter che mettono in pausa i tre anni.
è un diritto per i cittadini comunitari, mentre per coloro
che non sono cittadini dell'UE è un obbligo parte del contratto di
integrazione (cioè, se io fossi americano e non andassi a classe,
non mi rinnoverebbero il permesso di soggiorno/lavoro, o il
kontanthjælp in caso fossi disoccupato)
Non è vero che chi lavora fa i corsi di sera e chi non lavora fa
i corsi di giorno. Dipende dal lavoro e dall'accordo del lavoratore
con l'impresa. Io per esempio ho completato il corso di giorno,
lavorando di giorno.
E l'esame?
Come tutti gli esami, consiste di una parte scritta (comprensione
e composizione) ed una orale (presentazione).
Attenzione: sono esami veri. Cioè, bisogna studiare. Ho visto
persone arrivare all'esame convinte di passare solo perchè erano
andate a classe con l'insegnante che fa l'esame...no no.
E poi?
Beh ci sono 3 moduli dove se siamo promossi ci danno diritto ad un
attestato statale di fluenza nella lingua danese, con voti da 1 a 12
(minimo per passare è 4).
Ok ma in Danimarca non parlano tutti l'inglese?
La mia insegnante di danese dice di no. Cioè, quello lo dico
anche io, basta fare un giro appena fuori Copenhagen. Lei dice
addirittura che un datore di lavoro medio guarda il test di danese
per prima cosa negli stranieri. L'equazione è: sai la lingua = ti
vuoi integrare = non te ne vai piú.
La lingua è più importante che non per capire le pubblicità o
gli orari dell'autobus. Per un danese medio, chi non parla la lingua
non vuole restare e quindi, potenzialmente, non è una persona con
cui intrecciare rapporti stretti.
Quindi, la lezione di oggi è: sprog sprog sprog. Imparate il
danese da subito, fatene una parte della vostra vita quotidiana.
Ma ora tocca a voi! Dai, raccontate un po' della vostra
Sprogskole.
Lasciatemi un messaggio qui sotto e come sempre cliccate Like
sulla mia pagina su Facebook :)
volevo scrivere un post
sul buon anno in danese ma poi mi sono ricordato che ne avevo scritto un altro
solo un anno fa (come vola il tempo). Comunque sarà perché presto compirò i tre
anni in Danimarca, in cui praticamente è successo di tutto e di più, sarà
perché sono reduce da due settimane (e 4 chili) in Italia...comunque sia mi sto
chiedendo cosa mi sta lasciando questa esperienza danese.
Per esempio, l'altro
giorno all'aeroporto ho sentito parlare una famiglia svedese emi è sembrato che parlassero in modo
divertente. Non so se era l'accento, la pronuncia di parole che mi sembrava di
conoscere con un'altra pronuncia...insomma sembravano quasi dei danesi che stavano prendendo in giro qualcuno...fatto sta che mi ha fatto ridere.
E ho deciso di cominciare
a chiedermi “Ho vissuto troppo a lungo in Danimarca se…?”
Si, insomma, se ascolti svedese
e ti viene da sorridere perchè ti sembra un danese che prende in giro qualcuno, direi che hai assolutamente vissuto troppo a lungo in
Danimarca.
Poi, non so voi, ma io
Italia ancora mi metto sulle striscie pedonali ed aspetto che mi facciano
passare. Il che spesso si converte in lunghe attese davanti ad auto che sfrecciano
da una parte e dall'altra...vraaaaam vraaaaaam!
In questo caso, dunque,
“Ho vissuto troppo a lungo in Danimarca se...” ti aspetti che ti facciano
passare alle striscie.
Poi mi sono chiesto: cosa
ha lasciato a voi? Vi siete resi conto di alcuni cambiamenti nel vostro
carattere o nel modo di fare da quando siete in Danimarca, o in generale
all'estero? E quando? e vi piacerebbe condividerlo? Scrivete un commento qui
sotto oppure sulla pagina Facebook (e Like! Se non l'avete ancora fatto :)
Ciao a Tutti!! Sono appena uscito da fare il mio dovere di cittadino alle elezioni locali di Viborg ed ho pensato di fare un piccolo reportage sulle elezioni in salsa danese.
Innanzitutto non ti chiedono la carta d'identità. Chi può votare riceve il certificato elettorale (che qui si chiama valgkort, cioè carta - kort - dell'elezione -valg), poi si reca in un booth il cui numero è stampato sulla valgkort e poi...? e poi?
Beh l'unica cosa che devi portare a dimostrazione del fatto che sei veramente tu è la data di nascita. Cioè gli scrutatori ti prendono la valgkort, scorrono il registro fino a quando incontrano il tuo nome e, registro in bella vista che chiunque può vedere, ti chiedono la data di nascita.
Quindi la prima grande lezione delle elezioni danesi è: se rubi il certificato elettorale al tuo vicino, cerca di sapere anche la sua data di nascita e potrai votare per lui.
Poi, una volta uscito mi sono reso conto che davanti al seggio c'era un candidato, con tanto di striscione, che distribuiva volantini e faceva propaganda il giorno delle elezioni, davanti al seggio elettorale. Mi è sembrata un po' una cosa da terzo mondo, elettoralmente parlando, dato che almeno il silenzio elettorale...ma (seconda grande lezione delle elezioni danesi) qui non si incazza nessuno e quindi non deve essere un grande issue, dato che probabilmente tutti partono dal punto che le scelte elettorali di ciascuno sono già state maturate.
Ciao a tutti, scusate se questa volta non ci sarà un video ma purtroppo non ho fatto on tempo prima della partenza. Sí, perché è estate e si parte per le vacanze e di questo parleremo in questo post. Estate in danese è sommer. Simile all'inglese, con la O ben aperta, l'estate è la stagione dove tutti sorridono, dove si moltiplicano i gesti di generosità, dove le file vengono fatte con allegria oltre che con la normale disciplina, dove la gente è felice purché non piova, dove coke dicono i buoni danesi "se ci fosse una buona estate qui, perché andare via in vacanza all'estero?". Purtroppo una buona estate in Danimarca non si vede da un po' ma devo ammettere che è splendida quando si apre in tutto il suo splendore: 25-30 gradi durante il giorno, 10-15 gradi durante la notte, chiaro fino a tardi e mai veramente buio. Grigliare nelle lunghe notti estive è uno dei piaceri che vi consiglio di provare. D'altronde, l'influenza del meteo sull'umore danese non è nuovo e trova nella lingua la sua espressione. Infatti, mentre l'inverno ha un nome familiare (vinter, come in inglese winter e pronunciato "vinta" per il vecchio trucco della er che diventa a), primavera ed autunno hanno nomi del tutto particolari e che come detto rivelano quanto sommer sia importante per i danesi. Primavera è forår ed autunno è efterår, cioè: prima (for) dell'anno e dopo (efter) dell'anno. A dire il vero, prima non si scrive for ma før. Il for si USA per tutte quelle azioni o quei concetti che non solo precedono ma anche preparano l'azione o il concetto successivo. Sembra proprio che l'estate almeno in danese coincida con l'anno, o corse con l'unico periodo dell'anno che valga veramente la pena. Per questo la stagione prima è vista con attesa e come preparazione, le ultime piogge d'aprile con i primi soli...e la stagione dopo l'estate invece è guardata con malinconia come la stagione dopo l'estate. Con questo post Lezioni di Danese va in ferie. A proposito, ferie in danese si dice ferie :) voi? Quali piani per sommer? Io parto domani. Vado due mesi in sud America...Brasile, Uruguay, Argentina rino alle nevi della Patagonia fino a dove la strada lo consentirà, poi su risalendo la spina dorsale delle Ande, Cile Bolivia e Perù. Se questo blog va in ferie, se ne apre un altro sul questo viaggio: latinoamericanabackpack.wordpress.com a presto...in America Latina! Baci, Francesco
Oggi sono un po’
corporate con la camicia che sono appena tornato dal lavoro ma non volevo
lasciarvi soli in questo momento delicato. Delicato perché ci sono le elezioni,
tra un paio di settimane in Italia e poi tra qualche settimana per il Papa. Ed
allora ho pensato di fare un altro post per il blog.
Allora, come sono
le elezioni in Danimarca?
In Danimarca l’elezione
è et valg, che vuol dire sia elezione che scelta, ed in realtà l’elezione è
proprio quello, una scelta. E qui arriva il genio danese, nel senso che il voto
è en stemme. Attenzione: stemme vuol dire anche voce, e questo lo trovo
straordinario perché ci riporta indietro a quelle che sono le radici della
democrazia, la democrazia greca, dove si riunivano tutti in una piazza e,
urlando, testimoniavano l’approvazione per una proposta formulata nell’agora. E
quindi ci riporta al significato originale della democrazia: il governo di chi
urla più forte o di chi ha più urla.
Delle elezioni
italiane sappiamo ormai tutti, e ci sarebbero anche molte cose che non vorremmo
sapere. Parliamo invece della politica danese. La politica danese è più o meno
bipartitica, ha un sistema proporzionale ad una Camera sola, ed i giornali
dividono i partiti tra il Blocco Rosso (Rød Blok) ed il Blocco Blu (Blå Blok),
che come dicono i colori sono rispettivamente i socialisti/Socialdemocratici ed
i conservatori ed i liberali. Un po’ fuori dagli schemi è il partito del popolo
danese (Dansk Folkparti, DF), che è l’omologo nazionale della Lega nostrana,
che comunque appoggia esternamente i governi di destra.
Partiamo da
quelli che hanno perso le ultime elezioni, il Blå Blok, che si compone
essenzialmente di un partito che si chiama Venstre ed è un partito liberale. La
cosa carina è che il partito sta a destra, ma la parola venstre vuol dire
sinistra. Eppure sta a destra, cosa che io trovo stupenda. Oltre a essere il
partito principale della politica danese, monopolizza quasi tutta l’area centro
destra, che comprende altri partiti minori come Liberal Alliance, i
conservatori e come detto DF.
Se andiamo al
Blocco Rosso, troviamo partendo dal centro i socialdemocratici, partito di
maggioranza di governo, del primo ministro Helle Thorning Smith, quella che
Berlusconi le guardò il culo e con Sarkozy commentò che era bello. Poi troviamo
un altro partito di governo che è un partito dal nome nostalgico, il “Partito
Socialista del Popolo” danese, mi sono anche fatto crescere la barba alla
compagno Fidel in onore loro. Sono un partito di impronta socialista, stanno a
sinistra dei socialdemocratici, che come alleati hanno anche un altro partito
che si chiama Radikale Venstre, che sono un po’ come i nostri radicali:
liberisti in materia economica e socialisti/socialdemocratici in materia di
welfare, si collocano a destra dei socialdemocratici anche se a sinistra e sono
una frattura di sinistra del partito Venstre e stanno davvero a sinistra.
Più a sinistra di
tutti sta un partito che si chiama Unità, la Lista Unità (Enhedslisten). È un
partito di ispirazione rossoverde quindi ecologista, movimentista, quasi come
Sinistra Ecologia e Libertà, non è di governo, appoggia esternamente, e visto
che è molto di sinistra non ha un segretario ma un collegio di portavoce
capitanati da Johanne Schmidt-Nielsen, una della parlamentari più giovani della
Danimarca se non d’Europa che ha solo 26 anni e che si prenota per un futuro
brillante della politica danese. Se fossimo in Italia per 40 non ce la
scrolleremmo di dosso.
Questa era una
brevissima incursione nella politica danese: votate tramite busta se siete
italiani all’estero, votate se siete in Italia. Vi auguro buone elezioni, spero
ci sarà un altro post prima delle elezioni o magari uno dopo per farci due
risate sui risultati.
Mi raccomando
continuate a seguirmi sul blog e su Facebook, che mi arrivano nuovi Like ogni
giorno ed è sempre bello. Se avete idee per nuovi post, come sempre, fatemi
sapere.
visto che in Italia siamo in campagna elettorale,
almeno io cercherò di mantenere le promesse di tenere il video sotto i due
minuti e per riuscirci ho scelto di parlare oggi di una parola brevissima e
molto usata: enig. Proprio cosí, si scrive enig ma si pronuncia eni, la g è
muta. At være enig vuol dire essere d'accordo, ma non si
usa come diceva Vanna Marchi, “D'accordoooo?”. Anche se la parola è semplice,
dobbiamo fare un po' d'attenzione a come e quando si usa.
Innanzitutto, come si usa: con significato positivo
si dice semplicemente “enig” alla fine di un discorso o di un concetto espresso
dal nostro interlocutore. Si può dire anche “Jeg er enig”, ma enig è
sufficiente.
Se invece il significato è negativo, dobbiamo fare
un piccolo sforzo in più e dire “jeg er uenig”, cioè io sono in disaccordo. La
g finale è sempre muta ma è importante fare sentire la u iniziale che, come
sappiamo, cambia il significato delle parole da positivo a negativo. (Per
esempio, vi ricordate che gli articoli possono essere determinati – bestemt o
indeterminati – ubestemt?). Se ci pensiamo in italiano, può sembrare un po’
forte; tuttavia, il danese è pieno di espressioni un po’ tranchantes. Per
esempio, è normale dire che non abbiamo capito quello che l’altro dice con una
espressione che in italiano suona forte come: “non credo di avere capito quello
che dici” (jeg tror ikke at jeg forstår det der du siger…ok, non è cosí facile
da ripetere in un colpo solo J).
Poi, quando si usa “enig”. Come abbiamo visto
sopra, si può usare con significato affermativo o negativo, ma non si usa mai nelle
frasi interrogative. Per esempio, se si vuole chiedere all’interlocutore se è d’accordo,
non si dice “Er du enig?” (sei d’accordo?). Si usa piuttosto una espressione
più aperta: “Hvad synes du?” (che ne pensi?). Oppure, se ha gli occhi sbarrati
e sembra che lo abbiamo perso per strada, “er du med?” (letteralmente, “sei con
(me)?”, cioè, “mi segui?”). Qui è il ragionamento inverso a quanto dicevo prima
sulle espressioni tranchantes… alla faccia di chi dice che il danese è noioso: chiedere direttamente se qualcuno è d’accordo…è
proprio troppo diretto. Inoltre, in Danimarca è buona regola chiedere se gli altri sono d'accordo. Ricordiamoci che una società basata sul consenso vuol dire chiedere il parere di tutti (anche se poi nessuno ci impedisce di fare quello che vogliamo lo stesso :) )
Quindi ricapitolando: possiamo essere enig od
uenig, ma non dovremmo chiedere se qualcuno è d’accordo con noi, quanto cosa ne pensa.
E adesso sí, come diceva Vanna Marchi: "D'accordoooo?".
No, non è un
augurio, o per lo meno non solo. La verità è che l’ho detto talmente tante
volte quasi automaticamente che alla fine mi è venuta voglia di scrivere un
post e facri un video.
Quindi per prima
cosa mi sono fatto crescere la barba da Babbo Natale (che qui si chiama
Julemand, ossia l’uomo di Natale), giusto per darmi un tono, anche se ancora mi
manca qualche anno e qualche spavento (e con l’aiuto della cucina danese, qualche
chiletto) per essere credibile.
Comunque, non
siamo qui per parlare di me ma per parlare di Natale e Capodanno.
Come si dice in Danese?
Sì, lo so che sono appena passati ed avrei dovuto svegliarmi prima. Ma non
siamo qui per parlare di me… Comunque, si dice “God Jul og godt nytår”.
In realtà, si
direbbe glædelig Jul. Glædelig vuol dire felice (per chi parla inglese, glad),
ma non volevo farlo più complicato di quello che già è. Inoltre, questa
espressione mi permette di paragonare la pronuncia di god e godt.
Vi ricordate che
in un altro post avevo parlato della d che ha un suono un po’ strano, tipo con
la lingua fuori dai denti? Bravi. Naturalmente, visto che siamo in Danimarca,
niente ha un solo suono (alla faccia di chi dice che è un paese noioso…In particolare,
come potete sentire, in god la d diventa muta e la o ha un suono ottuso (spero
non ci sia nessun linguista all’ascolto…anzi sì che ci sia, così almeno mi
insegna…linguistaaaaaaa). Invece, in godt la d si accoppia alla t e la o
diventa acuta.
Questa differenza
nella pronuncia si applica a tutte le parole dove appare. O seguida da d è
ottusa, o seguita da dt è acuta.
Ma soprattutto: perché
con Jul mettiamo god e con år usiamo godt? Vi ricordate uno dei primi posts,
dove dicevo che il danese non ha il genere e che i sostantivi si dividono in parole
en e parole et? Beh Jul è una parola en (den Jul) mentre år è una parola
et (det år). Gli aggettivi seguono
il ”genere” del sostantivo e mentre i sostantivi en lasciano l’aggettivo
generalmente invariato, i sostantivi et aggiungono generalmente la t alla fine
dell’aggettivo. Quindi…god Jul og godt nytår!
Pensavate che
fosse finita? E invece no! Concludo con una piccola nota sociale. Godt nytår ha
la stessa funzione di tak for sidst. Serve a riallacciare i contatti dopo l’anno
nuovo. Questo vuol dire che possiamo usarlo sempre, senza timore, almeno fino alla
fine di gennaio quando rivediamo per la prima volta persone che conosciamo.
OK adesso siamo
davvero alla fine. Spero di essere riuscito a manterere la promessa elettorale di
stare sotto i due minuti.
Come annunciato
in un altro post, ora c’è anche la pagina Facebook di Lezioni di Danese, dove
posterò sia i posts sia altre notizie succulente. Fatemi sapere cosa ne pensate
come sempre, anche suggerimenti per prossimo posts!
il
mio internet sta facendo le bizze (sarà che non si è ancora adattato al passaggio
dall’estate all’autunno danesi?) e quindi purtroppo non riesco a postare alcun
video...Comunque, colgo l’occasione per ringraziare chi mi ha contattato in
privato e su Facebook proponendo nuovi argomenti per i video: sono stati suggerimenti
davvero preziosi, è sempre bello sapere cosa ne pensate dall’altra parte dello
schermo.
Tuttavia, avevo promesso un altro post sull’argomento kontanthjælp e quindi ne approfitto. Ho
preso spunto da due reality shows (o come li chiamano qui, dokumentar =
documentario) che ho visto in televisione, in cui si seguivano le vite di due persone
molto diverse e per certi versi sono due estremi: una donna di poco più di quarant’anni
in cerca di lavoro e Robert, che lavoro non lo cerca proprio.
Apro una piccola
parentesi sul kontanthjælp (letteralmente contante=kontant e aiuto=hjælp), l’ultima
ratio in termini di stato sociale danese: in caso una persona (con almeno 8
anni di residenza in Danimarca di cui ha lavorato almeno 2 anni e mezzo) sia
senza lavoro, senza Akasse e con meno di 10.000 corone di patrimonio mobiliare
o immobiliare, può accedere al kontanthjælp a patto che sia iscritto ad un
Jobcenter (e diventa cosi un kontanthjælpmodtager: un beneficiario). I kontanthjælpmodtagerein Danimarca sono circa 170mila individui. Il minimo è 3.214 corone per gli under
25 che vivono con i genitori (una sorta di paghetta statale), mentre il massimo
è 13.732 corone per adulti senza lavoro. Come fare per il kontanthjælp? Occorre rivolgersi al Jobcenter del proprio comune.
Torno ai due
esempi. Purtroppo non mi ricordo il nome della prima ma era un caso che mi ha
colpito. Confesso che inizialmente mi sono sentito quasi “tradito” dalla Danimarca.
In breve: lui ha un buon lavoro, lei è una segretaria d’azienda che non ha
lavoro da due anni, di cui l’ultimo anno senza nemmeno colloqui. Loro hanno due
figli ed una casa medio grande non lontano da Copenhagen. La sua Akasse, di lei, sta per
finire, dopo due anni. Durante il documentario, lei va a due colloqui ma non
riesce ad avere il lavoro. Dato che hanno casa e macchina, lei non può ricevere
il kontanthjælp e sono costretti a vendere la macchina per non finire in
perdita a fine mese. Ma come? La Danimarca non era il paese dove comunque
nessuno muore di fame? Eppure se vuoi che lo stato ti garantisca la
sopravvivenza…devi vendere casa, macchina etc., finire i soldi del ricavato ed
infine interviene il kontanthjælp. Pensandoci
meglio, è proprio questo lo spirito del kontanthjælp: nessuno muore di fame. Certo,
fa male pensarlo nel caso ci fossimo noi: per me la casa è sacra e dovere
vendere la casa nel caso non si abbiano soldi sembra un copione di un film
americano. Tuttavia, questo non vuol dire che lo stato (cioè i taxpayers, per
dirla all’americana) debbano garantire a tutti di avere una casa di proprietà.
L’altro esempio “estremo”
è Robert Nielsen, per i fans “Dovne Robert” (il pigro Robert), che è diventato
in pochi giorni una celebrità. In particolare, Robert ha 44 anni e vive di
kontanthjælp da 11 anni, dicendo che quella somma gli permette sfuggire allo
sfruttamento e dall’accettare lavori sottopagati, che lui identifica in lavori
pagati meno di 100 corone all’ora. Facciamo un rapido conteggio: 37 ore di
lavoro alla settimana per quattro settimane al mese fanno circa 100.000 corone
nette all’anno (ho fatto un calcolo approssimativo), cioè poco più di 8.000
corone nette al mese. Certo, non si potrebbe vivere in centro a Copenhagen, si
dovrebbero fare rinunce e soprattutto bisognerebbe svegliarsi tutti i giorni ed
andare a lavorare anche se non se ne ha voglia.
Non voglio fare il moralista,
per carità, il disagio dei giovani che non trovano (ed alcuni nemmeno cercano
lavoro) non può essere semplificato. Ma Robert no. Robert è riuscito a stare
disoccupato negli anni 2000 in Danimarca, dove la disoccupazione era dello
0,2%. Bisogna impegnarsi. Se Robert può vivere senza lavorare è perché molti,
invece, si svegliano controvoglia per andare ad un lavoro che li disgusta e li
sottopaga perché credono davvero che il lavoro nobiliti, cioè lavorano per vivere
e per far vivere Robert. Fortunatamente, la favola ha un lieto (?) fine. Robert ha trovato un lavoro all’altezza delle sue aspettative, anzi due: sarà colonnista
(sì signori, giornalista) per DR2 e BT, una rete televisiva ed un giornale
locali.
Ho sempre pensato
di avere una visione molto nordica dello stato sociale: uno stato che si
rispetti dovrebbe garantire a tutti la sopravvivenza, dovrebbe garantire a
tutti di avere le stesse possibilità di realizzarsi e dovrebbe anche essere
solidale fiscalmente e culturalmente. La Danimarca ci è generalmente riuscita,
anche se conserva un certo paternalismo e pedagogismo culturale di fondo. Come tutti i welfare states che si rispettino, anche il welfare danese parte dal presupposto che tutti vogliano lavorare e vogliano
contribuire allo stato sociale. La vera radice dello stato del welfare implica
che i paganti siano in maggior numero dei beneficiari. Per questo, trovo giusto (anche se rode) che lo stato non debba pagare la casa di una famiglia che sta vivendo al di sopra
delle proprie opportunità, almeno temporalmente. Trovo anche giusto che non si
debba pagare Robert. Per usare le parole di un politico conservatore locale
(non che sia un suo fan…) “è un diritto non volere lavorare; tuttavia non mi
sembra giusto non lavorare a spese di tutti gli altri che lavorano”.
Sarà per questo
che da molte parti ormai viene predicata una riforma del kontanthjælp che
vadano verso un maggiore coinvolgimento dei beneficiari. Cioè, che si riduca il
rischio passivo : si prevede che per i beneficiari il dovere di accettare
lavori offerti dal Jobcenter con un massimo un mese di totale assenza dal
lavoro), il dovere per gli under 30 senza istruzione superiore di iscriversi a
corsi professionalizzanti.
I soldi, si sa, non fanno la felicità, però sappiamo anche che aiutano. Dati i brutti tempi, le televisioni ed i giornali danesi stanno dedicando molta attenzione al “penge”. (E non preoccupatevi, non ha una pronuncia strana…si pronuncia proprio come si scrive: penge, con un accento acuto sulla prima vocale, qualcosa tipo pénge). Questo post ha un /1 perché vuole essere il primo di due dedicati a condividere con voi la concezione del penge in Danimarca. O almeno, quello che credo di averne capito io.
Ci diciamo sempre che uno dei fattori positivi della Danimarca è quello di avere una società quasi senza classi, nel senso che a nessuno importa che lavoro si faccia o che posto si occupi nella scala sociale, data che le relazioni sociali non si costruiscono su questa base. Personalmente, credo anche che la Danimarca sia ancora uno dei pochi paesi al mondo dove il semplice fatto di avere un lavoro garantisce la possibilità di una vita indipendente, incluso una casa. Non importa che lavoro si faccia. Insomma, sembra che il lavoro in Danimarca nobiliti davvero.
Un abbraccio a
tutti ed ancora scusate per la lunghezza, avevo poco tempo.
Di ritorno un weekend a Copenhagen, avere rivisto alcuni amici ed avere salutato un amico che se ne va, torna la rubrica sulle notizie danesi...dopo la pausa estiva ed una piccola riorganizzazione del
blog (che assomiglia sempre di più ad una rivoluzione
permanente...), anche i giornali di carta e via etere in Danimarca
hanno ricominciato a viaggiare a pieno regime.
La notizia più
interessante, o almeno distante da quello che siamo abituati a
vedere, è la ledership dei partiti che compongono la maggioranza in Danimarca (il Rød Blok, il blocco rosso) sono tutte donne, di età compresa tra i 28 ed i 45 anni.
Il primo ministro (Helle Thorning-Schimt) e la leader di Radikale Venstre (Margrethe Vestager) hanno sorpassato la quarantina, il
segretario di SF è sulla trentina mentre la portavoce di Enhedslist
(lista di sinistra ecologista senza un segretario ma un comitato di
segreteria coordinato da un portavoce) è intorno ai 28 anni. La più
recente in questo "club delle quattro" è il segretario di SF (Astrid Krag, trent'anni, due
bambini, sposata con un rapper locale), in sostituzione di Villy
Søvndahl, il ministro degli esteri anti-europeista (???) e
dall'inglese...originale e di cui molti volevano la testa.
Premetto che il punto
positivo di questo quartetto non mi pare il fatto che siano tutte
donne: è sicuramente un buon segnale, sebbene più folkloristico che
altro in un paese dalla avanzata parità come la Danimarca.
D'altronde, non sono mai stato un sostenitore delle discriminazioni
positive, perché dovrebbero essere temporanee ma sono, al contrario,
difficili da fermare e tendono a diventare permanenti. Meglio una
donna o un uomo al governo? Meglio uno bravo. Io preferisco una
persona capace di ricoprire un ruolo le cui decisioni avranno un
impatto sulla mia vita. Che sia uomo o donna, sinceramente, non mi
interessa più di tanto.
Piuttosto, ciò che mi
colpisce in positivo è la varietà delle età del quartetto. La
bontà di una classe dirigente si misura proprio, a mio avviso, dalla
capacità di proporre ed accogliere diverse istanze. Ci diciamo
spesso di come i danesi siano chiusi all'esterno, a quanto pare sono
tuttavia molto aperti e mobili all'interno. In Italia ci lamentiamo
che sono sempre i soliti, no?
Proprio l'età, d'altro
canto, è a mio avviso un punto debole. Per esempio, Johanne
Schmidt-Nielsen, la portavoce di Enhedslisten, ha recentemente finito
l'università ed il suo lavoro è stato da sempre la politica
(chapeau, comunque: riuscire a finire gli studi mentre ti fai
eleggere in Parlamento non è da tutti). L'attuale ministro delle
Finanze della Danimarca ha 26 anni. Non voglio dire che è necessario essere laureati per essere in Parlamento (e comunque non vuol dire che si sia intelligenti):
occorre passione, capacità di trasmettere ideali, carisma, credere
nelle proprie idee ed una buona dose di fortuna per essere eletti.
Tuttavia, io preferirei che decisioni importanti venissero affidate a
chi avesse almeno un po' di esperienza lavorativa, conosce la
situazione dei lavoratori che vuole difendere, soprattutto a
sinistra, conosca la difficoltà di far quadrare bilanci e risorse,
abbia provato la responsabilità di sbagliare e ne abbia pagato le
conseguenze.
Rileggo questo post e mi
viene da sorridere. Ma abbiamo visto chi abbiamo in Parlamento in
Italia al giorno d'oggi, tra giovani e non giovani? Mi sto lamentando
che ci siano donne e giovani in politica? O forse non sarà che ne sono
invidioso perchè avrei voluto essere dove sono loro (i giovani)? Forse entrambi.
Il fatto di vedere tanti giovani occupare posizioni di rilievo in
politica mi fa riflettere: io la trovo come la rottura di un tabù
culturale (anzi, due). In Italia diciamo sempre che odiamo i politici
di professione e che uno deve farsi la gavetta. In Danimarca ci
insegnano che, innanzitutto, la politica è un lavoro, ed un lavoro
vero. Sui generis, certo: non hanno nessun fiato del capo sul collo,
ma in fin dei conti il loro capo siamo noi. Tocca a noi allora
assumere responsabilità di esaminare da vicino quello che fanno e di
non votarli. Non c'è nessuno da votare? Beh francamente lo trovo
difficile da credere. Dall'altro lato, la gavetta è come una
discriminazione positiva: rischia di diventare permanente. E di
fatto, in Italia, lo è diventata: la classe dirigente è vecchia
(59 anni di media) rispetto alla Danimarca, e molti giovani emigrano. Sul fatto che
l'esperienza abbia creato dei buoni politici in Italia...beh! Ben
venga allora la Danimarca che si assume il rischio di fare decidere a
dei giovani!
Questa settimana ci sono
state altre notizie interessanti... però me le tengo per un altro
post... :)
come disse un membro del gruppo Facebook di Italiani in Danimarca, “la
maggior parte di voi ha in media l'età di Jobs quando lo buttarono
fuori dalla Apple), ma se lavorate in Danimarca non dimenticate la
pensione”. In effetti Italia e Danimarca hanno due sistemi
pensionistici diversi: benché simili nella sostanza, sono molto
diversi nella forma. Una cosa su cui mi sento di insistere è: non
importa che ci vediamo o meno vecchi in Danimarca. Una volta che
abbiamo la nostra pensione, possiamo farne quello che vogliamo. Molti
pensionati danesi si comprano casa al mare in Italia e vanno li a svernare. Dal mio punto di vista è fare il
meglio che possiamo ora, per avere il meglio che possiamo dopo.
Come
funziona la pensione in Italia e Danimarca
Il sistema
italiano va direttamente nella busta paga e detrae una percentuale a
fini pensionistici (i famosi contributi) senza che il lavoratore
debba pensare alla propria pensione, garantisce a chi ha lavorato una
pensione più alta della minima in relazione al numero di anni
lavorati ed ai contributi versati, senza che il dipendente se ne
debba preoccupare. Il sistema danese invece garantisce solo la
pensione minima e quinidi costringe a risparmiare fin da
giovanissimi, a farsi mutui molto grandi su 30-40 anni per comprarsi
una casa grande da vendere quando si andrà in pensione (andando ad
arricchire il fondo pensione), oltreché a detrarre una parte del
proprio salario a fini pensionistici, perché tutti riceveranno solo
la pensione minima. Ogni buon danese di 30 anni ha a suo carico tre
mutui: casa, macchina e studi (perchè se è vero che ogni studente
danese riceve 6000 corone al mese per sei anni di studi universitari
– circa 800 Euro – è pur vero che molti raddoppiano con prestiti
d'onore perchè la vita nelle città universitarie maggiori è troppo
cara).
Ok, ma in
Danimarca? La folkepension
La
pensione mimina è garantita anche in Italia, ma la pensione per chi
ha lavorato dipende dai contributi, cioè da quanto il contribuente
ha versato (percentuale del salario) e per quanti anni.
In
Danimarca, tutti possono andare in pensione a partire dal 65.mo anno
di età, indipendentemente da quanto si è lavorato. In Danimarca, la
pensione minima (la folkepension) è garantita a tutti. Punto. Ma
solo quella.
Gli
stipendi all'estero sono più alti di quelli in Italia anche per
questo motivo: il datore di lavoro non deve pagare nulla in più,
tutto è in capo al dipendente.
Il resto
di un ipotetico fondo pensione in Danimarca viene pagato dal
lavoratore, trattenendolo volontariamente dal proprio salario,
mettendolo appunto in un fondo pensione. Per avere l'intero ammontare
della folkepension in Danimarca, è necessario passare in Danimarca
almeno 40 anni dai 16 anni a 65. L'ammontare finale viene calcolato in quarantesimi , in base agli anni di permanenza in Danimarca, dal
momento dell'iscrizione all'anagrafe (quando si ottiene il CPR). Per
esempio, io sono arrivato in Danimarca quando avevo 31 anni, quindi
potrò al massimo avere 34/40 di quella che in Italia chiamiamo la
pensione sociale e che in Danimarca si chiama Folkepension.
Mi sembra la storia della cicala italiana e della formica danese...Ne discuto con alcuni danesi e dico “alla fine non mi sembra giusto che tutti riceviamo lo stesso, indipendentemente da
quanto abbiamo lavorato (e quante tasse abbiamo pagato), perchè
abbiamo contribuito differentemente al mantenimento del welfare”.
Normalmente la risposta (candida, devo dire) è più o meno così:
“Beh ma se hai versato molte tasse, vuol dire che hai guadagnato
bene, quindi sta a te mettere da parte una parte del tuo salario in
pensione”.
Cose da
controllare quando si valuta un'offerta di lavoro in Danimarca.
Salario
su base annuale e non mensile: in Danimarca ci sono 12 mensilità
mentre in Italia ed in altri paesi si applicano 13.80 o 13.92 mensilità. I
paragoni, si sa, lasciano il tempo che trovano. Quando si cambia
paese lo si fa anche e soprattutto perchè si ha bisogno di un
cambio. Guadagnare di più o di meno, a questo punto, può non
essere un fattore di cui teniamo in conto. Tuttavia, per avere un'idea di quanto guadagnerete e del tenore di vita che potrete affrontare, vi consiglio di prendere in considerazione il salario annuale.
Piano
pensione: come dicevo, in Danimarca l'impiegato può scegliere o concordare con
l'impresa quanto trattenersi dallo stipendio e metterlo in un fondo
pensione. Molte imprese offrono un piano pensione come parte dell'offerta di lavoro. Come per la A-kasse, pochi lo conoscono ma consiglio di
farlo. Informatevi se c'è un'opzione presente nel contratto, in
caso contrario contattate la vostra banca per un piano pensione
privato. La quota del salario destinata al piano pensione non viene tassata
(viene tolta dalla quota imponibile, quella su cui si pagano le
tasse) e quindi si pagano meno tasse in totale, oltre a mettere da
parte soldi per la vecchiaia.
Il
preavviso: in Danimarca, normalmente è di un mese durante i primi
tre mesi e tre mesi per i seguenti tre anni di lavoro con lo stesso datore di lavoro, a crescere. Durante il
preavviso, si continua a percepire il salario come se si lavorasse e
le ore (ipoteticamente) lavorate, contano per il dagpenge. Se
lasciate un lavoro per un altro, calcolate bene per non andare nei
casini.
Spero che vi sia stato utile, anche se probabilmente noioso...aspetto i vostri commenti!
Come dice
Umberto Eco, “Scusate la lunghezza, avevo poco tempo”.
Finalmente mi sono ripreso dalla depressione post-vacanze. Mi sono reso conto che una delle cose belle di vivere in Danimarca è
partire per le vacanze. Perché una volta che sei abituato al prezzo della vita in Danimarca, soprattutto per i ristoranti, tutto ti
sembra economico, uscire ai ristoranti diventa sempre di piú di un
piacere e ti senti leggero leggero. Quando tornerai ”a casa”...beh
innanzitutto non sarai piú in vacanza, e poi ti troverai a pagare
una pizza margherita sui 10 euro e ti considererai fortunato.
Poi, complice il bel tempo delle
destinazioni estive, ti sembra che tutti ti sorridano, il che mi ha
dato l'idea per questo post. In principio, l'idea dell'interazione
sociale ed umana è completamente diversa tra Italia e Danimarca (e
vabbè, direte voi, mica c'è bisogno che ce lo dici tu). Eppure, a
me non finisce di stupire. Per esempio i vicini: il vicino in Danimarca è tanto
migliore quanto meno entra nella tua vita. Niente a che vedere con le
sedie messe fuori dalla porta dai nostri nonni.
Per quanto riguarda i rapporti
interpersonali, poi, io personalmente rimango spesso incastrato in alcune
cose: prima, durante, e dopo la conversazione.
Innanzitutto, il saluto è una stretta
di mano per le persone con un poca confidenza ed un abbraccio per gli
amici. Una stretta di mano ferma ed un abbraccio senza pacche sulla
spalla. Niente bacini, uno due o ”facciamo tre”, oppure ”partiamo
dalla guancia destra o dalla sinistra?”. Nada. Mi ricordo uno dei miei primi giorni in Danimarca: venivo dal Belgio dove il saluto è sempre un bacio simultaneo e reciproco sulla guancia...immaginate la reazione del malcapitato danese???
Durante la conversazione, occhio al
movimento del corpo, il famoso linguaggio non verbale. Finché non
puoi dire di essere in confidenza (e l'alcol aiuta...) i danesi non
si muovono, ti parlano guardando fissamente negli occhi e si
aspettano che li si guardi negli occhi. A questo c'è anche una
ragione pratica. Come ho scritto in un altro post, una volta dissi ad una mia insegnante di danese come
facevano a capire tutte quelle piccole variazioni fonetiche fra
parole che sono simili nella scrittura ma molto diverse nel
significato. Quanto ci sarebbe voluto prima che anche io arrivassi a
capire ogni parola? E lei mi rispose candidamente che ”Nemmeno noi
capiamo ogni parola. Normalmente in una conversazione, noi danesi capiamo
50-60%, il resto lo indoviniamo dal contesto”. Per questo è
importantissimo guardare negli occhi, anzi nelle labbra. Ti scappa
una frase e sei fregato...
La cosa che più mi ha sorpreso, in positivo, è come si riallacciano le persone dopo l'ultimo incontro. Tak for sidst. Grazie per l'ultima volta. Anche se può sembrare triviale, è invece una parte fondamentale della cultura danese. Un modo per ricominciare, per
richiamare la bella atmosfera dell'ultimo incontro, o forse solo per
riallacciarsi. La cultura danese ha molte di queste piccole cose (no, non mi riferisco alle bandiere dappertutto...) che possono sembrare formalità, ma che io trovo una cosa molto bella e molto dolce, una cosa che potremmo e dovremmo imparare, piccole gentilezze che mettono di buon'umore. Soprattutto al ritorno dalle vacanze.
Buon ritorno a tutti!
Un abbraccio.
Take care,
Francesco
Buongiorno a tutti, anzi god morgen.
Scusate ancora il ritardo (ed i capelli) ma come ho detto in un altro
post, la settimana scorsa ero a Bruxelles, e scusate anche la voce e
le occhiaie, ma è stata una settimana...come dire? Intensa. Diciamo
che ho fatto la mia parte per sostenere l'economia locale. Comunque,
passiamo alla nostra lezione di danese per questa settimana, che come
promesso si concentrerà su una pietra miliare nel processo di
integrazione in Danimarca: rødgrød med fløde. La scelta è
caduta qui grazie a coloro che hanno commentato il mio primo video su
Facebook. È stato un bellissimo scambio di opinioni sul post ed in
messaggi privati, che mi ha dato nuove idee per prossimi posts.
Grazie davvero.
Questa frase è apparentemente innocua:
significa budino di cereali (grød) rosso (rød, per via delle bacche
che ci si mettono dentro) con formaggio morbido (fløde). In realtà,
è un vero rito di iniziazione. Non appena proverete a parlare
danese, ci sarà sicuramente un danese che vi chiederà di dirla.
Tranquilli, comunque vada, non ce la farete mai al primo colpo e lo
farete ridere. In fin dei conti bisogna ipotecare parte della propria
reputazione ai fini dell'integrazione.
Questa frase mi permette anche di
condividere alcuni trucchetti di fonetica. Della d ho accennato
qualcosa nel primo video post. Ne parlerò in dettaglio in un
prossimo post. Per ora, riconoscete il fonema? Vi ricordate quando
dicevo che la d ha un certo fonema che si produce mettendo la lingua
fuori ed appoggiandola sopra i denti?
Visto che ho promesso di lasciare i
post sotto i due minuti, oggi parliamo della ø e la prossima volta
parleremo della r.
La ø si pronuncia ø. Per parlare
danese è necessario calarci in una realtà di suoni diversa da
quella italiana. Non è solo il problema che non ci si capisca
niente. Il problema è che mentre in italiano abbiamo otto fonemi
corrispondenti alle vocali (à á è é i ó ò u), il danese ne ha
più di venti. Come scrissi in un altro post, anche i danesi
capiscono solo il 60% di quello che si dicono tra di loro.
È vero anche che finché la frase sarà strutturata bene, riusciremo a farci capire, ed a questo dedicherò un altro post (sto facendo più promesse di un politico). Tuttavia, dobbiamo perciò fare attenzione. Per
esempio, alcune parole cambiano solo per una sola lettera ed una
pronuncia non accurata rischia di far ridere più di rødgrød med
fløde. Prendiamo ad esempio le parole bade (bagno), både
(entrambi), bede (l'infinito di pregare), e bøde (multa). A seconda
di come pronuncia la vocale, potremmo arrivare a convertire “Jeg
skal på toilettet og tager en bade” (vado in bagno e mi faccio una
doccia) in “ Jeg skal på toilettet og tager en bøde” (vado in
bagno e mi faccio una multa).
Direi che non sono riuscito a mantere
nemmeno la mia prima promessa (di tenere ogni video sui due minuti).
Spero comunque che nessun linguista se la prenda
se ho semplificato un po'. Fatemi sapere se ho fatto confusione, se
avete curiosità sulla lingua danese o avete dubbi su un argomento in
particolare, oppure se magari preferite qualcosa più dedicato sulla
fonetica, eccetera. Insomma, fatemi sapere. Compe sempre, il video è anche su youtube.